Avvento: “Non abbiate paura, il Signore è in mezzo a voi ed è una liberazione”
"A noi cristiani - sottolinea l'arcivescovo Valentinetti - manca il riferimento alla Parola. Il riferimento a questa Parola meditata, ruminata, capita, approfondita, scrutata, cercando di andare alla radice delle questioni, sapendo che è stato scritta per popoli e nazioni che sono vissuti più di duemila anni fa e che ha bisogno di una continua interpretazione, di una continua verifica dentro la mia vita, dentro la mia storia, dentro la mia esistenza. E allora, guardate la vostra vita e seminatela di Parola. Se lo farete, allora sì, riuscirete ad interpretare il momento presente, la Chiesa, la comunità in cui vivete, la storia in cui vivete. E, soprattutto, vi preparerete a questa grande attesa del ritorno del Signore"
È stata dedicata all’approfondimento e alla meditazione del Vangelo al centro di questa prima domenica di Avvento (Lc 21, 25-36), la prima Lectio divina di Avvento che, lo scorso venerdì sera, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha tenuto nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova a Montesilvano:
“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli, infatti, saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
Dopo aver letto il passo evangelico, il presule ha esordito chiarendo subito il senso e il significato del tempo di Avvento che oggi inizia: «Così come ci eravamo lasciati alla fine dell’anno liturgico domenica scorsa – spiega -, con la lettura del Vangelo di Marco nella sua immagine della fine del mondo e del ritorno del Figlio dell’uomo nella gloria, anche all’inizio di questo nuovo anno liturgico si congiunge al precedente con questa idea del ritorno di Cristo nella gloria. Perché? Perché comunemente si pensa che il tempo di Avvento sia di preparazione al Natale. Niente di più sbagliato. L’ultima settimana di Avvento, dal 17 al 25 dicembre, quello sì è il tempo in cui la liturgia ci prepara alla Natività. Ma in realtà, le prime tre domeniche di Avvento sono la meditazione o, perlomeno, la celebrazione della Chiesa di una dimensione di fede da cui, molto spesso, si fugge, in quanto ci fa paura perché viene narrata con i toni che avete letto e ascoltato. Ed è una dimensione che noi lasciamo un po’ ai margini della nostra vita di fede, cioè l’avvento del Regno di Dio. Non solo l’avvento finale, ma la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi, il Regno che viene costantemente. L’avvento, di per sé, non è solo il tempo in cui pensiamo al ritorno di Cristo nella gloria, ma è costantemente la dimensione dell’apertura del cuore all’arrivo di Cristo nella sua dimensione gloriosa. Tutte le volte che noi celebriamo i divini misteri nell’Eucaristia, celebriamo il Cristo nella gloria: “Mistero della fede. Annunciamo la Tua morte o Signore, proclamiamo la Tua resurrezione nell’attesa della Tua venuta”. È questo l’avvento costante di Cristo. Del resto, se torniamo indietro al Vangelo di San Marco (capitolo 1, versetto 14), leggiamo che San Giovanni Battista afferma “Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”, ma dove la traduzione dell’espressione “è vicino” è un po’ errata. La migliore traduzione è “Il Regno dei cieli si è avvicinato”. Dunque è presente. È presente nella vita umana di Gesù, che ci ha mostrato qual è il vero volto del Padre ed è presente nella vita della Chiesa, che è prolungamento – grazie all’azione dello Spirito – della presenza continua di Cristo. Ora, l’Avvento che noi celebriamo dovrebbe essere tutto questo. Celebriamo l’Avvento, ma purtroppo siamo molto più attirati dal pensare al Natale, che non dal pensare a questa dimensione importantissima della fede. Perché noi siamo fatti per questa dimensione importantissima della fede, siamo fatti per le cose ultime e non siamo fatti per le cose penultime».
La motivazione di questo nostro non considerare il verso senso dell’Avvento, è insita nel tipo di linguaggio utilizzato nello scrivere questi versi biblici: «La descrizione di questo evento del ritorno di Cristo nella gloria o della presenza del Regno in mezzo a noi – approfondisce l’arcivescovo Valentinetti -, viene compiuta con il linguaggio apocalittico. Se andate il leggere il testo dell’Apocalisse, vi troverete spesso queste stesso linguaggio di carattere biblico “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. Qui ci sono due spiegazioni importanti che bisogna capire. La prima è che l’evangelista narra le parole di Gesù, perché deve far capire che l’adorazione è verso l’unico Dio, l’unico Signore Gesù Cristo e non verso gli idoli. La luna, le stelle e il sole dai pagani erano adorati come le divinità. Dunque non è che la luna, il sole e le stelle cadranno, ma le divinità false, bugiarde che non danno speranze e non danno segni di nessun tipo, non ci saranno più. Non saranno più evidenti, non saranno più adorati, non saranno più al centro dell’attenzione della storia, al centro dell’attenzione degli uomini. È sostanzialmente un linguaggio rivelativo, cioè un linguaggio apocalittico, che oggi ha un significato traslato. Quando si dice è un apocalisse, si pensa sempre alle cose peggiori. In realtà è un linguaggio apocalittico, perché è un linguaggio di rivelazione, di manifestazione. Del resto, se avrete la fortuna di approfondire il testo introduttivo del libro dell’Apocalisse, voi vi accorgerete che non c’è nient’altro in quel libro se non al rivelazione di Gesù Cristo, descritta con un linguaggio che parlava a chi forse, molto probabilmente, non capiva nessun altro tipo di linguaggio. La seconda spiegazione importante da comprendere è che la storia è sempre la stessa, non cambia mai. La storia prevede sempre maremoti, terremoti, pestilenze, malattie (non a caso siamo tutti con le mascherine), guerre e popolo contro popolo. Tutta una serie di situazioni dentro le quali, però, accade la rivelazione. Allora, questa paura per l’attesa di quello che dovrà accadere sulla terra, perché le potenze dei cieli saranno sconvolte e con esse anche tutta la realtà storica che, sostanzialmente, è sempre la stessa. Perché l’uomo è sempre lo stesso, non è che cambia nella sua storia. E la natura è sempre la stessa. Per cui, ciò che accade è sempre accaduto, accade e accadrà. Certamente, con le dovute verifiche di quella che non è la custodia del creato che purtroppo non abbiamo ai nostri tempi. Mentre, quando il testo è stato scritto, era tutto abbastanza normale».
In questo contesto, secondo l’arcivescovo di Pescara-Penne, c’è una grande verità: «Il Figlio dell’uomo – ricorda – viene su di una nube, con grande potenza e gloria. Cioè, anche qui l’immagine della nube è un’immagine veterotestamentaria importantissima. Dove appare Jahvé a Mosè? Nella nube. Dove si manifesta quando deve dare i comandamenti? Nella nube. Chi segue il popolo d’Israele quando dalla terra promessa viene portato in esilio? La nube. Allora la nube è il segno della presenza, è il segno gloria di Dio, lo è sempre stato. Dunque, non poteva essere adoperata nessun altra parola, se non quella che dice che il Figlio dell’uomo verrà con grande potenza e gloria. Qui è il punto importante. Perché l’Avvento è sempre nel quotidiano? Perché il Figlio dell’uomo è presente costantemente nella storia con grande potenza e gloria. Ma davvero? Certo, davvero! Il problema è che, forse, noi abbiamo poca fede per poterlo scorgere o per poter incarnare nel nostro quotidiano questa continua presenza e questa continua contemplazione. Ma se ci pensassimo un po’ attentamente, ci troveremmo a meditare che realmente è così, che realmente questa presenza è una presenza costante. E attenzione, non solo nei segni sacramentali, perché la presenza è costante nei segni sacramentali, ma anche nella Chiesa. Nella comunità dei credenti il Signore è sempre presente. Noi siamo molto autolesionisti. Ci piace molto mettere in evidenza i difetti della comunità e i difetti della Chiesa. Ma quanta santità c’è nella Chiesa? Nascosta, invisibile che è la presenza del Signore. Quanto amore, quanta dedizione, quanta quotidianità silenziosa, quanta carità non vista. È la presenza del Cristo nella gloria, nella Chiesa, che noi probabilmente non riconosciamo. E allora, quando cominceranno ad accadere queste cose, non scoraggiatevi, non abbiate paura di niente, neanche della pandemia. Non abbiate paura di essere dentro questa storia, che è fatta così com’è fatta. Non abbiate paura, perché il Signore è in mezzo a voi ed è una liberazione costante che si è avvicinata».
Quindi monsignor Tommaso Valentinetti ha fatto riferimento alla parabola del fico, in riferimento al quale è possibile scorgere dalla sua maturazione il segno che l’estate è vicina: «Questa – puntualizza – non è che un’altra similitudine per dire “State dentro le cose normali, guardate i segni normali della vita, guardate i segni costanti dell’esistenza”. Guardate i bambini che nascono, guardate i ragazzi che crescono, guardate gli uomini e le donne che ancora si sposano. Ma attenti, adesso dico una mezza eresia, non solo quelli che si sposano in chiesa. Anche quelli che si vogliono bene e forse non si sposano in chiesa, ma che però vivono bene. Vivono il loro amore e lo vivono seriamente. Guardate al positivo, guardate a tutto ciò che di bello, di buono e di santo riesce a esprimere questa umanità, “Perché in verità io vi dico, non passerà questa generazione, che tutto ciò avvenga”. Il che non è vero, perché le generazioni sono passate all’infinito ed è sempre la stessa storia. Ma il Signore, in questa Parola, afferma una grande verità, che è la presenza della presenze e non lascerà mai il credente “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Ecco il punto nodale. A noi cristiani manca il riferimento alla Parola. Il riferimento a questa Parola meditata, ruminata, capita, approfondita, scrutata, cercando di andare alla radice delle questioni, sapendo che è stato scritta per popoli e nazioni che sono vissuti più di duemila anni fa e che ha bisogno di una continua interpretazione, di una continua verifica dentro la mia vita, dentro la mia storia, dentro la mia esistenza. E allora, guardate la vostra vita e seminatela di Parola. Se lo farete, allora sì, riuscirete ad interpretare il momento presente, la Chiesa, la comunità in cui vivete, la storia in cui vivete. E, soprattutto, vi preparerete a questa grande attesa del ritorno del Signore».
Ma qui interviene il monito conclusivo del passo biblico: «State attenti a voi stessi – parafrasa il presule -, perché è molto facile perdere la bussola, è molto facile che vi smarriate dentro la storia che dovete vivere. E il testo dice “dissipazioni, ubriachezze” e poi dice una cosa che mi ha sempre fatto pensare “affanni della vita”. E chi non ha affanni nella vita? Credo che la nostra vita potrebbe narrare 550 mila affanni (malattie, difficoltà di lavoro, difficoltà di amicizie, tradimenti, gelosie, morte, fatiche e incomprensioni). Ai ragazzi delle cresime, sto commentando quasi sempre il testo del buon seminatore. Avete presente i quattro terreni? Il terreno di spine, quello di sassi, quello di strada e il terreno buono. I primi tre terreni sono quelli degli affanni della vita. La strada è la superficialità. Quanta superficialità, molte volte, nelle nostre esistenze, anche nei rapporti interpersonali. Non ci si riesce a guardarsi negli occhi molte volte. I sassi corrispondono alle preoccupazioni che, molte volte, diventano iperpreoccupazioni le quali, portate in una storia di fede, potrebbero essere comprese in maniera diversa. Infine le spine sono i peccati. Credo che questa Parola ci richiami affinché trovi un terreno buono nelle nostre vite, “perché quel giorno potrebbe arrivare all’improvviso e diventare veramente un laccio”. Infine, “esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra. Come reagire? Quali mezzi adoperare per poter far sì che tutto questo non accada e che quest’attesa e quest’incontro gioioso con il Signore, diventi l’incontro gioioso di tutti i giorni? “Vegliate ogni momento”. E poi aggiunge “pregando”. Due elementi importanti “vegliare e pregare”. Vegliare non significa non dormire, perché la vigilanza a cui fa riferimento il testo è l’unità della vita interiore. Cercate di rimanere vigilanti su voi stessi, nella vostra vita interiore. Riconoscete che c’è una vita interiore e riconoscendo che c’è questa vita interiore, pregate, esercitatevi nella preghiera continua, che è fatta di ascolto della Parola, che è fatta di celebrazione, ma che è fatta anche di momenti in cui possiamo dialogare con il Signore».
La lectio divina d’Avvento, meditata dall’arcivescovo Valentinetti si ripeterà per altri tre appuntamenti in altrettanti luoghi diocesani: venerdì 3 dicembre nella parrocchia di San Gabriele Arcangelo a Collecorvino, venerdì 10 dicembre nella chiesa di Sant’Agostino a Città Sant’Angelo marina e infine venerdì 17 dicembre nella chiesa di San Paolo apostolo a Pescara.