Opere di misericordia: “Se le vivremo la nostra cittadinanza sarà nei cieli”
"Anche qui a Pescara, da molti anni - ricorda Gilberto Grasso -, la Comunità è amica e compagna di tanti senza dimora di cui conosciamo la storia. Per questo vogliamo ricordare i nomi di tanti, fra loro, che non sono più qui tra noi. La morte di ciascuno di loro è una ferita per tutti noi. La nostra presenza qui vuole essere un segno di fedeltà all’amicizia per tutti coloro che, in questa città, vivono in una condizione difficile senza casa e, spesso, senza affetti"
Uno struggente elenco di nomi pronunciati, in corrispondenza dei quali un cero veniva acceso in loro memoria, sulle toccanti note del Kyrie eleison. È stato questo il ricordo dedicato ieri a Pescara dalla Comunità di Sant’Egidio, nell’ambito di una messa presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nel Santuario del Cuore immacolato di Maria, ai circa 100 senza fissa dimora morti in strada – a Pescara e in Abruzzo – per freddo e stenti negli ultimi anni. Modesta, Emilio, Michele, Tiziano, Riccardo, Argentino e poi Leslan, morto il 13 dicembre 2015 in un casa abbandonata di Pescara. E, sempre nel capoluogo adriatico, Pavel morto di freddo il 19 dicembre 2010 così come un ragazzo sconosciuto che il 27 agosto 2008 è morto «nella solitudine e nella disperazione» in questa nostra città.
Una tradizione, quella della messa in suffragio dei senzatetto uccisi dalla loro stessa povertà, che la Comunità di Sant’Egidio ha ripreso ieri dopo due anni di interruzione a causa della pandemia di Covid-19: «L’abbiamo chiamata – premette Gilberto Grasso, responsabile locale del movimento – “Liturgia in memoria di Modesta”. Un’anziana morta a Roma senza soccorsi perché, essendo sporca, l’ambulanza si rifiutò di portarla in ospedale. Anche qui a Pescara, da molti anni, la Comunità è amica e compagna di tanti senza dimora di cui conosciamo la storia. Per questo vogliamo ricordare i nomi di tanti, fra loro, che non sono più qui tra noi. Il primo è stato Emilio, di cui conserviamo viva la memoria. Aveva poco più di 40 anni. La durezza della vita sulla strada ha peggiorato la sua salute, fino al giorno della sua morte avvenuta l’8 febbraio 2009. Con lui vogliamo fare memoria di tanti altri amici che ci hanno abbandonato, ma che non dimentichiamo, ricordandoli sempre come fratelli, uno per uno. La morte di ciascuno di loro è una ferita per tutti noi. La nostra presenza qui vuole essere un segno di fedeltà all’amicizia per tutti coloro che, in questa città, vivono in una condizione difficile senza casa e, spesso, senza affetti».
A queste parole si è poi aggiunto l’arcivescovo Valentinetti, che ha dato inizio alla liturgia eucaristica: «Con questo spirito di memoria nel cuore – afferma – celebriamo la liturgia della seconda domenica di Quaresima, puntando lo sguardo su Gesù che è trasfigurato. Anche la vita di chi ha sofferto da solo, dei senza fissa dimora, sarà un giorno una vita trasfigurata. Ma anche noi vogliamo contribuire, perché già da quaggiù un piccolo segno del Regno possa appartenere a questi fratelli e a queste sorelle. Per tutte le volte che non siamo stati attenti, riconosciamo i nostri peccati».
Nella successiva omelia, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha commentato il Vangelo del giorno: «In questa seconda domenica di Quaresima – osserva – non c’è più l’umanità di Gesù, ma c’è la sua umanità. Perché il Vangelo ci racconta l’evento straordinario, irripetibile, dell’anticipazione della gloria di Gesù. Non solo l’anticipazione della visione della risurrezione, ma l’anticipazione della gloria. Perché? Il suo volto cambiò d’aspetto. “La sua veste divenne candida e sfolgorante”. E nella gloria tutto è riassunto di quanto Dio aveva manifestato nelle precedenti generazioni, attraverso l’immagine di Mosè e di Elia. Questa manifestazione costante di Dio attraverso la legge, o perlomeno attraverso le guide del popolo d’Israele e attraverso i profeti. Dunque, una gloria straordinaria che trovava il suo compimento. Perché, di cosa parlavano? Il suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme. Cioè il passaggio attraverso la morte per arrivare alla risurrezione e alla vita eterna. Ecco la vicenda umana e la vicenda gloriosa di Gesù».
Una vicenda che, a detta di monsignor Tommaso Valentinetti, fa comprendere come ci fosse un esodo, un percorso da compiere per tutti, anche per i più fragili come i senza fissa dimora: «Questo cammino – spiega – non è uguale per tutti, non è catalogabile. È un esodo personale, è un esodo che riguarda la persona di ciascuno di noi. E riguarda, forse, anche fratelli e sorelle di cui oggi facciamo memoria, che vivono una situazione particolarissima nella loro storia. E, forse, hanno fatto un esodo senza che nessuno li guardasse. Addirittura Gesù, nel suo esodo, sotto la sua croce, è accompagnato da Maria, dalle donne e dal discepolo amato. Tanti fratelli, tante sorelle nel loro esodo finale – di cui stiamo facendo memoria – non sono accompagnati da nessuno, nella solitudine più assoluta. Questo ci dice che c’è solo qualcuno che li accompagna, li custodisce e li porta nel suo esodo, li porta nella sua dimensione di gloria. Tant’è vero che Pietro, Giacomo e Giovanni quando si accorgono – dopo che i loro occhi si erano fatti pesanti – che succedeva qualcosa di straordinariamente particolare dicono “Maestro, vogliamo stare sempre qui, vogliamo fare tre tende, una per Te, una per Mosè, una per Elia”. Ad essi era stata concessa la visione finale e, dunque, volevano rimanere. A noi la visione finale non è stata data, come non è stata data a questi fratelli e a queste sorelle».
Ma se questa visione non ci è data, a detta del presule, ci è dato di accogliere un comandamento “Questi è il Figlio mio, l’eletto. Ascoltatelo, perché Lui mi racconta”: «Finora – parafrasa l’arcivescovo Valentinetti – mi sono fatto raccontare da Mosè e dai profeti, ma adesso Lui mi racconta, lui mi dice “Chi sono io e che cosa devo fare”. Cessò la voce e Gesù restò solo. Non riferirono niente a nessuno, ma se noi oggi volessimo domandarci qual è quella Parola che, a questo punto, è più necessaria ascoltare? Ieri (sabato) ci è stata donata una Parola forte “Amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori perché il Padre celeste fa sorgere il sole e dà da mangiare ai buoni e ai cattivi”. In un tempo di guerra, in un tempo di odio, in un tempo di fratelli fratricidi che si stanno ammazzando, sentire ancora una volta questa Parola è veramente complesso, ma è la Parola di Gesù “Amate i vostri nemici”. Perché, stando con i piedi per terra, Dio ama allo stesso modo i russi e gli ucraini. È veramente una Parola difficilissima da comprendere, ma è così. Questa è la Parola che abbiamo dovuto ascoltare ieri (sabato), così come quella che dobbiamo ascoltare oggi (ieri) è “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, malato e in carcere e siete venuti a trovarmi”. Quando Signore? “Quando l’avrete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me”. Se vivremo questa Parola, la nostra cittadinanza sarà nei cieli e lì il nostro corpo mortale, insieme ad altri corpi mortali saranno trasformati e trasfigurati per essere conformati al Corpo glorioso, in virtù del potere che Dio ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli e sorelle, rimaniamo saldi nella fede».