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Guerra e Pasqua

Guerra e Pasqua. Tra questi “poli” si sviluppa il dinamismo pasquale della vita di Cristo di fronte al male: lotta ad oltranza del male e accettazione del dolore nella linea dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

La sofferenza è un male che mette Dio stesso in questione. La guerra, che si sta combattendo in queste ore, è la guerra di sempre: sempre unica, sempre diversa, sempre ingiusta e soprattutto sempre con i soliti interrogativi esistenziali. Perché il dolore? Che cosa hanno fatto di male tanti uomini innocenti? E quasi simultaneamente si finisce col dito puntato verso Dio. Perché Dio lo permette? Perché non interviene a eliminarlo? È vero, noi credenti non puntiamo il dito contro Dio, ma a Lui ci rivolgiamo, per essere illuminati, perché la sofferenza è e rimane un grande mistero.

Ci aiuta a penetrare nel grande mistero il santo Giovanni Paolo II con le parole della lettera apostolica Salvifici doloris (n.13): «Per poter percepire la vera risposta al “perché” della sofferenza, dobbiamo volgere il nostro sguardo verso la rivelazione dell’amore divino, fonte ultima del senso di tutto ciò che esiste. […] Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il “perché” della sofferenza […]. La risposta è stata data da Dio all’uomo nella Croce di Gesù Cristo».

Con queste parole viene indicato quale sia lo sguardo in grado di rispondere alla domanda dell’uomo sofferente. Non è uno sguardo rivolto a un Dio qualsiasi, non certamente al Dio dei pagani che vive nell’Olimpo e «troneggia – per usare le parole di Hans Küng – in una beatitudine indisturbata o in una trascendenza apatica, al di sopra di ogni sofferenza» [Essere cristiani, 1990, p.663]. Il Dio, cui il sofferente guarda, e da cui riceve risposta, è Cristo Crocifisso.

È vero, la sofferenza è un male che mette Dio stesso in questione, ma Cristo crocifisso è Dio che mette il male stesso in questione. Il Dio di Gesù, il Dio che rivela Gesù, rivela che quel Dio che è Gesù, non è dall’altra parte rispetto al dolore: è dalla stessa parte di chi soffre. La vera novità del Nuovo Testamento è nell’assunzione che Dio opera, attraverso il Figlio, della sofferenza umana. 

Ci stiamo dirigendo a grandi passi verso la celebrazione del Mistero Pasquale. Ogni qual volta celebriamo la morte-passione-resurrezione di Cristo, celebriamo la sua definitiva condivisione del dolore umano in vista della vittoria sul dolore. Diciamo “definitiva”, sì, perché sappiamo che Gesù ha lottato senza sosta contro il dolore degli altri già nella prima parte del Vangelo, il cosiddetto libro dei segni di guarigione e di vita. Tutto il ministero di Gesù è stato caratterizzato da una continua opera di liberazione dalla sofferenza: dalla sofferenza fisica, con la guarigione dei malati; dalla sofferenza spirituale, con la liberazione degli ossessi e indemoniati; dalla sofferenza morale, con il perdono dei peccati; dalla sofferenza sociale, con il ritorno di malati e poveri nella società; dalla sofferenza creata dall’angoscia della morte, con la resurrezione dei morti.

Gesù ha lottato contro il male a oltranza. Ma Lui non ha lottato esclusivamente contro il dolore degli altri, come fosse un Titano, bensì ha assunto su di sé il dolore fino alla morte di croce. Questa croce fu innalzata in mezzo a altre due, ricordiamolo, come a dire che la Sua croce è in mezzo alle nostre e le nostre hanno la Sua accanto. Non solo l’uomo soffre, ma anche il Dio di Gesù soffre. La grande Pasqua di Gesù è la sua definitiva opera di liberazione dal male condividendo la situazione di sofferenza dell’uomo su di sé. E questo con un intento preciso: dare un dignificato, dare un senso, trasformare il momento di disperazione in momento di resurrezione. E con ciò ha offerto anche all’uomo una via di liberazione definitiva dal male, se l’uomo riesce a imitare Cristo nella sofferenza.

Come un credente cristiano, allora, deve vivere il momento della sofferenza? L’atteggiamento del cristiano non è quello di un’accettazione passiva e rinunciataria alla lotta contro il male. Se così fosse, dove sarebbe l’imitazione di Cristo che lotta contro il dolore degli altri? Anche quando ha fatto in prima persona l’esperienza del dolore, Gesù non ha cercato direttamente la croce. Il cristiano che imita Cristo non è un rinunciatario: egli può e deve resistere al male. Lo combatte con tutte le forze e tutti gli strumenti. D’altra parte la sua lotta non è ad oltranza come una lotta prometeica. È piuttosto l’atteggiamento pasquale, che unisce inscindibilmente l’impegno a lottare a ogni costo fino a quando è possibile e l’impegno ad accettare umilmente la finitudine umana fisica, psicologica, morale, sociale, rimettendosi nelle mani di Dio e fidando nel suo progetto di amore, nonostante la durezza e l’apparente assurdità della sofferenza. Il cristiano può e deve vivere il proprio soffrire da figlio nel Figlio di Dio: offrire come figlio il suo dolore a Dio. La resistenza estrema al dolore è fare del dolore un dono, come fa Gesù Cristo. È la resistenza del continuare a pregare, del continuare a parlare con Dio. È un atto di amore non soltanto verso Dio, ma di amore e donazione verso il prossimo.

Odessa, in questi giorni. Nel monastero ortodosso di San Michele ucraini e russi pregano insieme per la pace. Mentre iniziano i preparativi per la Pasqua ortodossa, che sarà comunque celebrata, si prega e si accoglie chi ha bisogno – leggiamo su Avvenire.it: «tutti sono accolti senza distinzione di fede. Ora la guerra – dichiara la madre badessa Serafima – non ci costringerà a chiudere e resteremo aperti, pronti ad accogliere e aiutare, tutti».

Guerra e Pasqua. Tra questi “poli” si sviluppa il dinamismo pasquale della vita di Cristo di fronte al male: lotta ad oltranza del male e accettazione del dolore nella linea dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Così Gesù ha vinto il male nel suo aspetto più pericoloso, cioè quello di squarciare il senso esistenziale della vita umana personale e sociale. Gesù Cristo non ha elaborato nessuna teoria per spiegare l’esistenza del dolore e della sofferenza nel mondo. L’ha combattuto sanando il dolore degli altri e lo ha assunto, imparando «l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb, 5, 8-9).