Noterella sulla società “condizionata”
Nel discorso pubblico di questi giorni spesso si trovano elementi che permettono di analizzare lo stato di salute della nostra società, e la misura del suo ego.
«Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?». In questo tempo prossimo alla Pasqua risuona sui media questa frase del Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, pronunciata durante la conferenza stampa del 6 aprile, in relazione alla necessità di adeguare le nostre esigenze di vita alla situazione contingente, che vede in atto il terribile conflitto russo-ucraino.
La frase pronunciata dal premier è a mio giudizio una perfetta definizione dello stato della nostra società contemporanea, proviamo a fare alcune considerazioni, che possono essere messe in relazione con le dichiarazioni de capo del Governo.
Una premessa: si può notare come dall’inizio del conflitto paia esista una sola strada (oltre quella folle di fornire armi) per rispondere all’aggressione russa: le sanzioni, quindi azioni punitive, di carattere esclusivamente economico: è un dato assai evidente di una umanità che pare in un certo senso “afona”, cioè incapace di articolare un discorso più complesso, in cui al centro viga il dialogo, la parola, che insomma dia spazio a un rapporto (sia pur nel caso specifico complicato e complesso) con l’Altro (in questo caso Putin e Zelensky); sembra permanere una sfiducia da parte delle istituzioni sovranazionali coinvolte ad affidare un compito chiaro e deciso alla diplomazia.
La strada da seguire è quella tracciata da Papa Francesco, nella Messa della Domenica delle Palme: «recidere i chiodi del peccato con l’amore»: cosa potrebbe essere infatti se non un gesto d’Amore, quello di dialogare con chi porta distruzione e morte? Ma quale altra via se non quella indicata dal Pontefice ci permetterebbe di provare a iniziare un percorso di de-escalation, per giungere alla Pace necessaria?
Veniamo all’ultima considerazione dedicata alla frase del Capo del Governo. Mettere sullo stesso piano la Pace e uno status symbol della moderna società del benessere (il condizionatore) è un ottimo artificio comunicativo, ma dimostra allo stesso tempo un appiattimento del discorso a livelli esageratamente materiali, che genera una erronea interpretazione dell’intera situazione: non c’è spazio per l’Altro, tutto viene allineato a qualcosa che riguarda l’individualità (preferisco io, il condizionatore o la Pace), e che proprio per questo non può che avere l’effetto di una banalizzazione, che non genera particolare risonanza in chi ascolta. In altri termini, legare qualsiasi tipologia di discorso, anche così importanti come quelli sul conflitto in atto e sulla pace nello specifico, a una responsabilità personale, taglia, esclude lo spazio e la responsabilità dell’Altro, eliminando così qualsiasi possibilità di dialogo e di appropriazione da parte della collettività, di quanto si vuole dire. Semplifichiamo: se la scelta è richiesta solo a me, diviene difficile parlare di valori collettivi: io sono in pace, non faccio del male a nessuno, quindi ben venga anche il condizionatore.
In conclusione, forse varrebbe la pena riscoprire una frase scritta da un giovanissimo Arthur Rimbaud in una sua lettera del maggio 1871 a Georges Izambard, e rifletterci su: «Io è un Altro».