“Il nostro compito è indicare Gesù perché tutti ne ascoltino la voce”
"Ogni volta che noi riceviamo un dono, implicitamente, in esso c’è una chiamata - ricorda don Roberto Goussot, coordinatore della Pastorale vocazione diocesana di Pescara-Penne -. Quindi possiamo dire che tutta la vita è la scoperta di una chiamata, nel momento in cui noi ci diamo il diritto di accogliere il dono che Dio ci fa in ogni situazione, in ogni circostanza della nostra vita. Questo in modo particolare per ciò che concerne la vocazione primaria che riguarda i nostri giovani i quali, oggi più che mai, hanno tanto bisogno di trovare il senso della vita e il senso della felicità"

Nella quarta domenica di Pasqua ricorsa ieri, è stata celebrata anche la 60ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e, per l’occasione, è stato l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti a presiedere la santa messa delle ore 20, dedicata specialmente ai giovani, al Santuario della Divina misericordia di Pescara.

Nell’omelia il presule è partito dall’approfondire l’episodio biblico del Buon pastore, al centro della liturgia della Parola di ieri: «Come avete ascoltato – premette l’arcivescovo Valentinetti – le immagini che questo testo offre sono tante. Innanzitutto c’è l’immagine del recinto, poi c’è l’immagine della porta, poi c’è l’immagine del guardiano e ancora l’immagine di questo pastore che fa ascoltare la sua voce. E solo a quella voce le pecore obbediscono e sono disposte alla sequela. Ecco perché, in questa giornata particolare, la Chiesa ci fa pregare anche per le vocazioni di speciale consacrazione, presbiteri, religiosi, religiose che possono rispondere alla voce del Buon pastore per essere assimilati anch’essi a questo ministero pastorale. Ma perché Gesù fa questo discorso? Perché l’evangelista Giovanni lo pone a questo capitolo decimo del suo Vangelo? In realtà dietro questo testo c’è anche un intento polemico da parte di Gesù, perché? Perché Gesù contesta coloro che sono venuti prima di Lui, “Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti”. A chi si vuole riferire? Sicuramente un riferimento ai re d’Israele, che erano identificati come i pastori del gregge, anche perché il popolo d’Israele sostanzialmente era un popolo di pastori, un popolo che praticava sostanzialmente la pastorizia nel nomadismo, per poi diventare un popolo sedentario solo all’incirca nell’anno 1.000 a.C. Ma i re che si sono succeduti sul trono d’Israele non sono stati fedeli. Erano re che, invece che accompagnare quel gregge, lo hanno percosso. Il riferimento è anche ad alcuni cattivi profeti, profeti di sventura, profeti che non hanno saputo fare il loro servizio di annuncio della Parola. Ma Gesù vive in un contesto anch’esso difficile. Scribi, farisei, dottori della legge, sommi sacerdoti, che in realtà vivevano un ossequio formale alla legge mosaica, ma il loro cuore era lontano dal vero, unico Dio, da Jahvè. Gesù, dunque, pone questo discorso per dire “Attenti, io sono io, solo sono il Buon pastore”. E ancora oggi dobbiamo avere la coscienza di capire che realmente solo Gesù è il Buon pastore, che solo Gesù deve essere ascoltato, che solo Gesù deve essere seguito. Noi che lo annunciamo, noi che lo rappresentiamo non possiamo cercare la nostra gloria, il nostro onore, i nostri privilegi, le nostre soddisfazioni personali. Noi dobbiamo essere i guardiani».
Da qui l’immagine del guardiano: «Che apre la porta – precisa l’arcivescovo di Pescara-Penne – e fa entrare il Buon pastore, perché Egli possa attivare con la sua Parola tutte le pecore. E le pecore si mettono in atteggiamento di ascolto, perché riconoscono la sua Parola. D’altra parte, credo che ognuno di noi ha fatto esperienza forte quando ho ascoltato una parola veritiera di Gesù che ha colpito il suo cuore, la sua mente, la sua vita. E ha detto, questa è la Parola che mi ci voleva. Questa è la parola che mi ha chiamato alla sequela del Signore. Ognuno di noi, che ha avuto una vocazione alla sequela nella vita presbiterale o nella vita religiosa, potrà dire una cosa del genere, ma anche i laici, anche coloro che non devono diventare sacerdoti, devono diventare religiosi o religiose, possono dire che la sequela di Gesù è una sequela a Lui e a Lui solo».
Da ciò deriva l’insegnamento che arriva da questo episodio biblico a noi oggi: «A noi – esorta monsignor Tommaso Valentinetti – spetta il compito di indicare, così come fu il compito di Giovanni Battista che indicava Gesù presente nel tempo, il nostro compito oggi – nella Chiesa – è indicare Gesù e far sì che tutti possano ascoltare la sua voce. Indicare nella Chiesa, indicare nella comunità, in un tempo in cui si è anche sedotti da svariate voci, molto spesso anche contraddittorie, nei confronti del Vangelo, nei confronti della parola di Dio e nei confronti di Gesù. Queste parole contraddittorie, molte volte, fanno anche un po’ male, ma a noi interessa seguire Gesù, a noi interessa la sequela di Gesù interessa far parte di questo gregge, che è la comunità cristiana, che è la Chiesa, che non è una società perfetta, che non è una società che non ha nessun difetto. È una società fatta di buoni, di peccatori, di meno buoni, ma che pongono la loro vita dietro la sequela di Gesù. È in questa Chiesa noi vogliamo stare, in questo recinto, in questo ovile, possiamo trovare vita e pascolo in abbondanza. Che il Signore ci conceda, dunque, di avere davanti ai nostri occhi questa figura di Gesù e le sue parole, perché possiamo ad ascoltarle, perché possiamo farle nostre e perché Lui ci conduca al suo recinto e a pascoli fertili, che possono saziare la sete della nostra vita, della nostra anima. Una sete di felicità, una sete di bellezza, una sete di bontà. Amen».

A margine della santa messa, anche il coordinatore della Pastorale vocazione dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne don Roberto Goussot ha approfondito il tema alla base di questa Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, “Un meraviglioso poliedro”: «Ogni volta che noi riceviamo un dono, implicitamente, in esso c’è una chiamata. Quindi possiamo dire che tutta la vita è la scoperta di una chiamata, nel momento in cui noi ci diamo il diritto di accogliere il dono che Dio ci fa in ogni situazione, in ogni circostanza della nostra vita. Questo in modo particolare per ciò che concerne la vocazione primaria che riguarda i nostri giovani i quali, oggi più che mai, hanno tanto bisogno di trovare il senso della vita e il senso della felicità».