Missionari: “Ci ricordano che la Chiesa è universale e nessuno resti escluso”
"C'è grande desiderio di coinvolgere soprattutto i giovani nella missione - rilancia monsignor Michele Autuoro - e di ripartire sempre dal Vangelo, in una prossimità con tutti e anche con nuove relazioni che, come anche il documento del Sinodo della Chiesa italiana dice, anche quello della Chiesa universale, imparando da Gesù, imparando anche proprio dal Vangelo. E soprattutto riscoprire questa missio ad gentes, sempre più nell'ottica della cooperazione tra Chiese, quindi nello scambio e nel farsi dono tra le Chiese"
Dall’11 al 14 novembre scorso, il Grand Hotel Adratico di Montesilvano ha ospitato il Forum Missionario 2024 dal titolo “Cantiere e missione. Vivere nel mondo, il dono e la cura”, rivolto ai componenti delle equipe diocesane e regionali dei Centri missionari (ha partecipato anche il Centro missionario diocesano di Pescara, con il diacono Goffredo Leonardis), nonché ai vescovi incaricati regionali oltre che ai presuli che costituiscono la Commissione Cei per l’Evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese. Così la Chiesa italiana si è voluta ritrovare per fare il punto sul proprio impegno missionario e rilanciarlo, sulla base di quanto emerso anche dal Sinodo della Chiesa universale e dal Cammino sinodale delle Chiese in Italia.
In questa occasione abbiamo voluto parlare di tutto questo con monsignor Michele Autuoro, vescovo ausiliare di Napoli, presidente della Commissione per l’Evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese della Conferenza Episcopale Italiana.
Eccellenza, innanzitutto “Cantiere e Missione” è stato un po’ il mondo missionario italiano che si riguarda alla luce del Sinodo?
«Cantiere missione, proprio per sottolineare che in questo momento la Chiesa è un grande cantiere, il cantiere del Sinodo, quello della Chiesa Universale che si è da poco concluso ma che non è una conclusione, è solo un inizio, e quello della Chiesa Italiana che ha avuto la sua prima assemblea proprio in questi giorni. Allora il mondo missionario vuole interrogarsi soprattutto su qual è in questo tempo di cantiere il contributo che può dare e come ancora la missio ad gentes (l’evangelizzazione rivolte a gruppi e ambienti non cristiani), può essere paradigma della conversione pastorale e missionaria della Chiesa. E soprattutto è stato anche un appuntamento in cui sono stati convocati i direttori dei centri missionari, gli istituti missionari, coloro che si occupano di missione nella Chiesa Italiana anche per tracciare i cammini per questo tempo, per questo tempo sinodale, quindi anche per tracciare il cammino del prossimo tempo delle nostre Chiese e anche delle nostre realtà».
Quindi avete fatto il punto con i referenti locali dei centri missionari diocesani e regionali: cosa è emerso, qual è la prospettiva della missione italiana verso cui bisogna puntare. Qual è la priorità?
«Certamente in questo momento c’è tanto desiderio di cambiamento e c’è anche tanta speranza. In questi giorni, devo dire che c’è stato tanto fermento, non c’è stato pessimismo. Sì, ci siamo anche detti tutte le fatiche e le cose che non vanno, ma con un grande desiderio di coinvolgere soprattutto i giovani e di ripartire sempre dal Vangelo, in una prossimità con tutti e anche con nuove relazioni che, come anche il documento del Sinodo della Chiesa italiana dice, anche quello della Chiesa universale, imparando da Gesù, imparando anche proprio dal Vangelo. E soprattutto riscoprire questa missio ad gentes, sempre più nell’ottica della cooperazione tra Chiese, quindi nello scambio e nel farsi dono tra le Chiese».
Ma oggi, per la Chiesa italiana, la missione è più ad intra o ad extra? Siamo più chiamati ad evangelizzare nel territorio delle nostre parrocchie, oppure c’è ancora una prospettiva per andare anche all’estero?
«Innanzitutto la missione è sempre una sola. È la missione che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Quindi la Chiesa ha un’unica missione, che è quella di Gesù e quanto più la Chiesa si ricorda di questa missione, tanto più è Chiesa e quindi vive pienamente quello per cui è stata istituita da Gesù. Quindi io non direi che c’è una missione ad intra e ad extra. C’è una missione della Chiesa, che è quella che Gesù ha detto di raggiungere tutti. Raggiungere tutti significa raggiungere tutti qui e fino ai confini del mondo. D’altronde, noi diciamo che è una missione senza confini e in essa non ci sono più periferie, intese come terre lontane, ma ci sono – come sottolinea Papa Francesco – anche periferie esistenziali. Cioè dove ci sono l’uomo e la donna, dove ci sono crocicchi, come dice anche la parabola, in cui bisogna recarsi per rincontrare. Gesù, del resto, ha incontrato tutti e tutte e lo ha fatto proprio andando lì dove c’è sempre stata molta gente, diverse culture. E soprattutto lì dove c’è stata anche marginalità o dove le persone venivano marginalizzate. Questi sono i confini della missione».
Papa Francesco, fin dall’Evangeli Gaudium, ha risaltato la necessità di rinvigorire la creatività nell’annuncio. Come il mondo missionario da allora sta cambiando la propria pelle, il proprio modus operandi per cercare di rispondere alle esigenze del nostro tempo?
«Il mondo missionario cambia nel senso che certamente diventa sempre voce di tutti e voce di altro o di altri, cioè sempre di qualcosa che c’è oltre. E i missionari ci aiutano anche a leggere le periferie. Ci aiutano a leggere tutto quanto il mondo, tutta quanta l’umanità. Loro riescono sempre a darci una lettura universale. Per questo motivo, aggiungo anche che è sempre necessario che essere in missione qui, perché la Chiesa deve essere in missione ovunque, così come dice Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. Ma è necessario anche partire, è necessaria la “missio ad gentes”, è necessario che ci siano sempre missionari e missionari, che ci siano preti religiosi e religiose, che ci siano laici, che ci siano ancora famiglie che partono per la missione. Perché questo ci ricorda che la Chiesa è universale, che è cattolica, che è un banchetto offerto a tutti i popoli, dove tutti devono sedere e nessuno dev’essere escluso, dove tutti devono sedere a tavola e nessuno deve essere ai suoi piedi per mangiare le briciole.
Quindi i missionari ci ricordano innanzitutto questo e quindi stanno sempre a ricordarci la cattolicità della Chiesa, fatta di tutti i popoli e così che da tutti i popoli verranno a partecipare a questo banchetto».
Nel mese scorso, qui a Pescara, c’è stato il G7 dei ministri della cooperazione e dello sviluppo, con al suo interno anche un bell’incontro con i missionari, fra i quali padre Giulio Albanese ha rilanciato come il vero obiettivo debba essere quello di cancellare il debito dei Paesi poveri, aumentando l’aiuto allo sviluppo da parte dei Paesi ricchi, perché senza di quello restano solo tante belle parole. C’è stato anche un appello del mondo missionario ai grandi della terra… Qual è la posizione della Chiesa italiana in tutto questo, con i Paesi del mondo povero che, giustamente, reclamano la loro parte?
«Innanzitutto direi che la questione del debito si inserisce anche nel prossimo Giubileo, perché esso anche a partire da quello della Bibbia, del Levitico, ci ricorda che è necessario restituire a tutti la terra, che tutti hanno piena cittadinanza e che, anche in questo mondo, c’è bisogno di liberazione di tutti e che il bene di tutti diventi realmente bene per tutti. E soprattutto, la questione dei migranti sta molto a cuore a tutto il mondo missionario, perché c’è una terra che è la terra di Dio, la terra è per tutti. Tutti hanno diritto di cittadinanza su questa terra, tutti hanno diritto ad una vita piena e buona. Infatti Gesù ha detto “Io sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza e che questa vita sia anche eterna”. Quindi, certamente, la preoccupazione del mondo missionario è questa».
In conclusione, qual è l’auspicio di monsignor Michele Autoro per il futuro missionario della Chiesa italiana?
«Che per prima cosa, così come ci chiede Papa Francesco, si continui sempre a parlare di missione, perché il parlarne ci mette in cammino e solo una Chiesa in cammino è una Chiesa viva. È una Chiesa che significa passione ed è appassionata degli uomini e delle donne. È appassionata di mostrare agli uomini e alle donne la perla preziosa del Vangelo che è Gesù. E soprattutto è appassionata alla vita buona e piena, colma di beatitudine per tutti, che Gesù ha annunciato e che, con la Sua presenza, con il suo inaugurare il Regno di Dio in mezzo a noi, ha già cominciato in questa pienezza per tutti».
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