Disabilità e lavoro: “Le relazioni ci insegnano che le persone fanno la differenza”
"La mia esortazione – afferma monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne - è che le istituzioni, soprattutto gli enti locali, pongano più attenzione a fornire le cure necessarie perché anche i disabili possano lavorare al meglio"
La sfida per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, passa attraverso relazioni di qualità e la condivisione di esperienza. È emerso nitidamente dal terzo Seminario di studio su disabilità e lavoro “Un altro punto di vista: la forza delle reti comunitarie”, organizzato lunedì 25 novembre a Pescara – presso la sede dell’Azienda di trasporto unico abruzzese (Tua) – dall’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro e del Servizio nazionale per la pastorale delle persone disabili della Cei a cui hanno partecipato 150 operatori del settore: «Spesso – osserva don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro Cei – guardiamo il bene da un punto di vista unidirezionale (io aiuto la persona che ha bisogno). In realtà, la vita ci insegna che il bene relazionale che proviene da una presenza è talmente illuminante da scardinare le nostre certezze, come quella dell’efficienza. Se una persona ci rallenta, scopriamo uno sguardo differente sulla vita. I beni relazionali ci consentono di capire cosa fa la differenza, ovvero le persone».
E di loro bisogna prendersi cura, come emerso fin dai saluti del mattino portati dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti: «La mia esortazione – afferma il presule – è che le istituzioni, soprattutto gli enti locali, pongano più attenzione a fornire le cure necessarie perché anche i disabili possano lavorare al meglio».
D’altra parte le persone disabili, proprio per la loro cronica difficoltà nel trovare un’occupazione stabile rischiano, più di altri, di cadere nella povertà: «Una persona povera – conferma Massimo Maggio, direttore di Cbm Italia, un’organizzazione umanitaria impegnata nella promozione e nella tutela dei diritti delle persone disabili – più facilmente cade in una condizione di disabilità e viceversa». A tal proposito, Cbm Italia ha presentato il primo rapporto su disabilità e povertà delle famiglie in Italia, realizzato in collaborazione con Fondazione Zancan: «I disabili e i loro familiari – precisa il direttore di Cbm italia – lamentano di vivere in un isolamento da abbattere. Serve promuovere una cultura dell’inclusione, investendo poi in un lavoro che sia umanizzato, andando oltre la standardizzazione del welfare attuale. I disabili vogliono passare da essere spettatori a essere attori nel mondo del lavoro».
E il binomio tra persone disabili e lavoro è anche al centro della riflessione della Chiesa, a partire proprio dal concetto di persona e dalle parole da usare per definirla: «Parlare di individui come di “risorse” – spiega l’economista Elio Borgonovi – rappresenta un’idea di limite. Vanno indicati come “persone”. Un termine che esprime una potenzialità espansiva che va sviluppata».
Non sono mancate poi delle testimonianze concrete, che hanno dimostrato come l’inserimento lavorativo dei disabili sia reale oltre che possibile. Lo ha dimostrato Nico Acampora, educatore e fondatore di Pizzaut: due ristoranti aperti nel 2021 a Cassina de’ Pecchi, nel Milanese, e nel 2023 a Monza dando lavoro a 41 ragazzi autistici e 5 normodotati. Ma anche il Centrosud non è da meno, grazie all’opera della Fondazione Div.ergo onlus di Lecce: «Coinvolgiamo 60 giovani-adulti con disabilità medio-lieve – racconta il referente Gigi Greco – in un laboratorio creativo in cui realizzano manufatti artistici che vengono venduti ai turisti, ma anche nella coltivazione di un orto solidale con metodi biologici. E poi vanno a fare volontariato in una casa di riposo e curano il verde di un parco cittadino».
Esperienze, queste ultime, condivise in cinque workshop per fare rete: «La forza – conclude suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità – è che tutto ciò abbia una ricaduta regionale. Abbiamo creato reti, questo è stato un incontro significativo e ora la sfida è di non aspettare il seminario dell’anno prossimo, ma far sì di creare reti di cura nella nostra quotidianità».
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