“Dio ci ama tutti: rispondiamogli e nessuno ci strapperà dalle sue mani”
"Dove ci sono i giovani - sottolinea don Pierluigi Pistone, direttore della Pastorale familiare diocesana di Pescara-Penne - è necessario che ci siano le famiglie dietro e dove c'è famiglia, ci sono i giovani. Tenere insieme queste due realtà, significa avere una Chiesa viva"

Un pellegrinaggio giubilare a piedi, da Torre de’ Passeri al Santuario di San Nunzio Sulprizio di Pescosansonesco, che lo scorso sabato 10 maggio ha unito 200 persone – tra giovani e famiglie – in un’esperienza di comunione e condivisione sulle orme del giovane santo pescarese.

Un’iniziativa promossa e organizzata dagli Uffici diocesani di Pastorale giovanile, vocazionale e familiare insieme alla Consulta diocesana di Pastorale giovanile, all’Azione cattolica, alla Caritas diocesana e al Progetto Policoro, come secondo appuntamento del ciclo di incontri “Giovani a passo coi santi”, dal titolo “La meta è la santità: in cammino con San Nunzio”: «Abbiamo innanzitutto voluto ripercorrere una tradizone della nostra diocesi – spiega don Domenico Di Pietropaolo, direttore della Pastorale giovanile diocesana -, che è il pellegrinaggio di maggio qui a San Nunzio Sulprizio, anche perché il 5 maggio scorso è stata la festa del nostro santo, soprattutto il santo dei giovani. Questo pellegrinaggio l’abbiamo voluto proporre proprio in questo anno giubilare dedicato alla speranza, guardando alla figura di San Nunzio, perché è un giovane che ha sofferto tanto anche all’interno della propria famiglia. Non è stato compreso e accettato per quelli che erano i suoi limiti fisici. Ciononostante, lui ha risposto accogliendo la croce, con l’esempio dell’amore di Cristo che non si è scandalizzato davanti alla sofferenza. Per noi questo è voluto essere un momento di ascolto dei nostri ragazzi. Siamo molto felici perché da Torre dei Passeri abbiamo vissuto con loro un bel cammino, insieme alle famiglie, mettendolo in pratica anche da da un punto di vista sinodale».

Un percorso, quello da Torre de’ Passeri a Pescosansonesco, che nonostante fosse tutto in salita non ha fiaccato i giovani. Anzi, al contrario: «Questa giornata – racconta Anastasia, da Montesilvano – mi ha donato le esperienze condivise dai miei compagni, che hanno riportato le loro riflessioni durante il cammino, come anch’io ho fatto con loro. Quindi sono stata una spalla e ho avuto delle spalle su cui non piangere e confrontarmi. E poi è stata una bella esperienza, soprattutto perché non conoscevo bene la storia di San Nunzio».

Questo pellegrinaggio giubilare a piedi è stato, dunque, un’esperienza di condivisione e ascolto reciproco. Anche per questo è stata importante la presenza delle famiglie: «Abbiamo vissuto un bel momento – sottolinea don Pierluigi Pistone, direttore della Pastorale familiare dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne –, che ha visto la partecipazione di 20 famiglie. Anche perché, dove ci sono i giovani è necessario che ci siano le famiglie dietro e dove c’è famiglia, ci sono i giovani. Tenere insieme queste due realtà, significa avere una Chiesa viva, una Chiesa che cammina partendo da quella che poi è la “chiesa domestica”: il luogo in cui inizia il cammino della fede. La fede non nasce dalla parrocchia, ma nasce dalla famiglia. E la famiglia che poi conduce il giovane, fin da bambino, speriamo, alla parrocchia. Quest’ultima, assieme alla famiglia, non al suo posto, aiuta questi giovani».

Un pellegrinaggio condiviso, quello tra giovani e famiglie, apprezzato dalla famiglie stesse: «È stata un’esperienza molto toccante e formativa – raccontano Fabrizio e Cecilia -. Insomma, è bello vedere tutti i ragazzi insieme a fare questo cammino. D’altra parte, il Papa ci ha richiamato all’unità e oggi qui ho sentito tanta unità».
L’ARCIVESCOVO VALENTINETTI: “ASCOLTIAMO CIO’ CHE ACCADE INTORNO PER RISPONDERE AGLI INTERROGATIVI DELLA STORIA “
Una volta giunti al Santuario, dopo aver ascoltato le riflessioni dei presbiteri al seguito, è stato l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti a presiedere la santa messa conclusiva, tirando le fila della giornata: «Credo che in questa celebrazione – esordisce il presule all’inizio del rito – sia doveroso, ancora una volta, ricordare Papa Francesco, che nei giorni scorsi abbiamo accompagnato all’ultima dimora; ma anche rivolgere una preghiera incessante allo Spirito Santo per Papa Leone XIV, che è stato eletto come Pastore supremo della Chiesa Cattolica, a livello universale. Tutto sotto l’azione dello Spirito Santo».

Nell’omelia, l’arcivescovo si è lasciato ispirare dal Vangelo del Buon Pastore, al centro della liturgia della quarta domenica di Pasqua: «Come avete ascoltato dalla parola del Vangelo – osserva l’arcivescovo di Pescara-Penne –, si parla di pastore e di pecore. Proprio per questo quarta domenica di Pasqua, viene chiamata la domenica del Buon Pastore. Ma, devo essere sincero, vedere dei pastori in giro con un gregge di pecore al seguito, è diventata un’immagine non consueta, a meno che non li andiamo proprio a cercare. Ma ai tempi di Gesù era un’immagine molto frequente. Un’immagine che si poteva constatare in ogni circostanza, perché Gesù – tutte le volte che parlava – cercava di prendere gli esempi dalla vita come in questo caso. Allora, anche se l’immagine del pastore e delle pecore ci è un po’ estranea, in questo testo ci sono delle parole, dei verbi che secondo me vale la pena commentare brevemente».
Il primo verbo preso in esame è “ascoltare”: «“Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Che cosa dobbiamo ascoltare? – si chiede monsignor Valentinetti -. Innanzitutto è importante mettersi in atteggiamento di ascolto. Non sempre siamo capaci di ascoltare, siamo distratti da tante cose. Voi sapete perché la pubblicità è molto ripetuta? Perché anch’essa fa fatica a farsi ascoltare, perché siamo distratti. Invece il Signore ci dice che dobbiamo ascoltare la sua voce. Verrebbe subito la chiarificazione. Qual è la voce di Gesù? È la Parola di Dio, è il Vangelo. Se per due o tre minuti al giorno si leggesse il Vangelo, staremmo già a un buon punto. Ma non è sufficiente. Bisogna ascoltare anche qualcos’altro. Bisogna ascoltare la parola di chi ci aiuta ad entrare nel Vangelo. Nella fattispecie il Papa, il nuovo Papa, il vescovo – modestamente – i sacerdoti, i catechisti, gli educatori. Ascoltare, far sì che quella voce, quella parola, penetri nell’orecchio, poi vada nella mente e poi vada nel cuore, perché è con quest’ultimo che si ascolta. I profeti a Dio chiedevano un cuore capace di ascoltare. Ma c’è ancora tanto da ascoltare. Che cosa? La storia. Sì, la storia che stiamo vivendo va ascoltata. Va fatto discernimento su di essa. Non possiamo rimanere inebetiti di fronte a quello che sta succedendo nella storia che ci circonda. È una storia che va ascoltata, interiorizzata, capita. Perché ci sono tanti conflitti nel mondo? Perché si stanno ammazzando migliaia di persone? Dobbiamo ascoltare la storia, quella passata, ma anche quella recente e presente. Perché se non ci mettiamo in ascolto di quello che ci accade intorno, facendo finta di niente, con un vecchio proverbio dialettale che “Sta bon Rocc, sta bon tutta la rocc”, abbiamo perso tempo, stiamo sprecando la nostra vita, che deve reagire di fronte a quelli che sono gli interrogativi della storia. Terzo ascolto, quello del creato che sta parlando. Il creato sta dicendo delle cose importanti, sta dicendo “Salvatemi”, sta dicendo “Non mi uccidete”. Ma noi siamo disposti ad ascoltare il creato?».

Il secondo verbo è rappresentato dal versetto “Ascoltano la mia voce e mi seguono”: «Vivere la sequela di Gesù – precisa l’arcivescovo -, non significa necessariamente diventare preti o suore. C’è un seminarista qui, Francesco, che sta in Seminario. Lui ha scelto, ha sentito la vocazione, si sta mettendo in un tipo particolare di sequela. Ma la sequela è di tutti i cristiani… Mettere i nostri passi dietro i passi di Gesù. Mettere i nostri passi dietro i passi dello Spirito Santo. Mettere i nostri passi dietro i passi della Chiesa, della comunità, della parrocchia, del gruppo che mi accoglie. È lì che io seguo il Signore Gesù, che mi precede sempre, che sta sempre avanti a me».
E poi l’ultimo verbo, “Mi ascoltano, mi seguono e io li conosco”: «Siamo conosciuti veramente da Gesù? Siamo conosciuti da Lui? Abbiamo una conoscenza Sua? Abbiamo fatto l’esperienza dell’incontro con Gesù? – s’interroga ancora monsignor Tommaso Valentinetti -. Una conoscenza non superficiale, non di moda, non fatta di stereotipi, ma una conoscenza d’amore, nel sapere che siamo sempre nella Sua mano. Una delle belle cose che ha detto Papa Leone all’inizio del suo pontificato, “Non dimentichiamoci che Dio ci ama e ama tutti. E come conosce me, conosce l’ultima creatura dell’umanità”. In questa conoscenza ci dobbiamo perdere e dobbiamo rispondere al Suo amore. E nessuno ci potrà strappare dalle sue mani. Amen».
