Referendum: “Evitare mortificazioni della dignità delle persone”
I presuli, infatti, pur riconoscendo l’attuale proposta di riduzione del requisito temporale da 10 a 5 anni, confidano in «una riforma complessiva della legge», ribadendo la necessità «di integrare nella pienezza dei loro diritti coloro che condividono i medesimi doveri e valori»

Anche la Chiesa italiana guarda ai cinque Referendum su cittadinanza e lavoro di domenica 8 e lunedì 9 giugno.
Ma se i primi quattro quesiti riguardano il lavoro (l’abolizione o meno del Contratto di lavoro a tutele crescenti del Jobs Act; la cancellazione o meno del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese; l’abrogazione o meno dell’articolo 19 del decreto legislativo 15 giugno 2015 n° 81, che disciplina la durata dei contratti a termine senza causali fino a 12 mesi; l’abrogazione o meno della norma che non permette al lavoratore in subappalto, vittima di un incidente, di chiedere il risarcimento anche all’impresa che ha commissionato l’opera), la Conferenza episcopale italiana ha puntato l’attenzione sulla quinta scheda (l’eliminazione o meno dell’articolo 9, comma 1 legge 5 febbraio 1992, n. 91 solo nella parte sul tempo minimo di residenza legale in Italia, che oggi è fissato a 10 anni e che – se vince il sì – si ridurrà a 5 anni).
Lo ha fatto in occasione dell’ultima seduta del Consiglio episcopale permanente, che si è svolta il 27 maggio scorso: «Evitare – l’appello dei vescovi italiani – mortificazioni della dignità delle persone». I presuli, infatti, pur riconoscendo l’attuale proposta di riduzione del requisito temporale da 10 a 5 anni, confidano in «una riforma complessiva della legge», ribadendo la necessità «di integrare nella pienezza dei loro diritti coloro che condividono i medesimi doveri e valori».
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