Leone XIV ai vescovi italiani: “Portare Cristo nelle vene dell’umanità”
"Dopo dieci anni – conclude il cardinale Matteo Zuppi – ci piace ancora di più una Chiesa italiana, come disse Papa Francesco, inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. La desideriamo lieta, col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. E per essere così, se serve, innoviamo con libertà. Vogliamo che tutti si sentano a casa nella casa di Dio. Dove anche il fratello maggiore impara a sentire sua la festa della misericordia, della gratuità, della fraternità ritrovata"

Un intervento ricco e sentito ha caratterizzato, ieri nell’Aula delle Benedizioni in Vaticano, il primo incontro di Papa Leone XIV con i vescovi italiani, guidati dal cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi.
Le prime parole del Papa verso i presuli italiani, sono state di riconoscenza: «Vi ringrazio per la vostra preghiera e per quella delle vostre comunità: ne ho tanto bisogno! – esordisce il Pontefice -. Quest’Aula, che sta tra la Basilica e la Piazza, è carica delle emozioni che hanno accompagnato i recenti avvenimenti. Infatti il Papa deve attraversarla per affacciarsi alla Loggia centrale. L’amato Papa Francesco l’ha fatto per il suo ultimo Messaggio pasquale Urbi et Orbi, che è stato il suo estremo, intenso appello alla pace per tutti i popoli. E anch’io, la sera dell’elezione, ho voluto riecheggiare l’annuncio del Signore Risorto, “La pace sia con voi!”. La storia della Chiesa in Italia evidenzia il particolare legame che vi unisce al Papa e che – secondo lo Statuto della Cei – qualifica in maniera peculiare la comunione della Conferenza con il Romano Pontefice. Seguendo l’esempio dei miei predecessori, anch’io avverto la rilevanza di questo rapporto “comune e particolare”, come lo definì san Paolo VI intervenendo alla prima assemblea generale della Cei. Nell’esercitare il mio ministero insieme con voi, cari fratelli, vorrei ispirarmi ai principi della collegialità, che sono stati elaborati dal Concilio Vaticano II. In particolare, il Decreto Christus Dominus sottolinea che il Signore Gesù costituì gli Apostoli “a modo di collegio o ceto stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro” (n. 19). È in questo modo che siete chiamati a vivere il vostro ministero: collegialità tra voi e collegialità con il successore di Pietro».

Quindi il Santo Padre ha ricordato uno dei compiti fondamentale della Conferenza episcopale italiana: «Una sana cooperazione con le autorità civili – ricorda Leone XIV -. La Cei è luogo di confronto e di sintesi del pensiero dei vescovi circa le tematiche più rilevanti per il bene comune. Essa, all’occorrenza, orienta e coordina i rapporti dei singoli vescovi e delle Conferenze episcopali regionali con tali autorità a livello locale». Poi ha citato Papa Benedetto XVI che, nel 2006, «descrisse la Chiesa in Italia come una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione e dove le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti. Ciononostante, la comunità cristiana di questo Paese si trova da tempo a dover affrontare nuove sfide, legate al secolarismo, a una certa disaffezione nei confronti della fede e alla crisi demografica. In questo contesto – osservava Papa Francesco – “ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia – diceva – non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale: portano a lasciarsi ‘disturbare’ dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane, animati dallo spirito risanante delle Beatitudini”».
Quindi il Papa ha indicato un primo impegno da assumere ai vescovi italiani: «Porre Gesù Cristo al centro – rilancia – e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Questo è il primo grande impegno che motiva tutti gli altri: portare Cristo ‘nelle vene’ dell’umanità, rinnovando e condividendo la missione apostolica. “Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi” (1Gv 1,3). E si tratta di discernere i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia, con azioni pastorali capaci di intercettare chi è più lontano e con strumenti idonei al rinnovamento della catechesi e dei linguaggi dell’annuncio».
Inoltre un secondo impegno va portato avanti con determinazione: «Diventare artigiani della pace nei luoghi della vita quotidiana – indica il Sommo Pontefice -. Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. Ogni diocesi – aggiunge il Pontefice, facendo riferimento a San Paolo – possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una casa della pace, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa».
In seguito, Leone XIV è tornato a parlare di alcune sfide poste dalla questo tempo di postmodernità: «L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media – osserva il Santo Padre – stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita. In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Sono sfide che interpellano il rispetto per la dignità della persona umana». Da qui l’auspicio del Romano Pontefice: «Che il cammino delle Chiese in Italia includa – esorta Papa Prevost -, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata».
Questo il monito del Papa, che ha insistito sulla necessità di “coltivare la cultura del dialogo”: «È bello che tutte le realtà ecclesiali – parrocchie, associazioni e movimenti – siano spazi di ascolto intergenerazionale – invita ancora il Pontefice -, di confronto con mondi diversi, di cura delle parole e delle relazioni. Perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile. Vi incoraggio a continuare su questa strada! Annuncio del Vangelo, pace, dignità umana, dialogo: sono queste le coordinate attraverso cui potrete essere Chiesa che incarna il Vangelo ed è segno del Regno di Dio».
Prima di concludere, il Santo Padre ha rivolto ancora un ultimo invito ai vescovi della Cei: «Andate avanti nell’unità, specialmente pensando al Cammino sinodale – puntualizza Leone XIV -. Restate uniti e non difendetevi dalle provocazioni dello Spirito – esortazione facendo riferimento a Sant’Agostino -. La sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire. Guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose! Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo inviati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici. Abbiate cura che i fedeli laici, nutriti della Parola di Dio e formati nella dottrina sociale della Chiesa, siano protagonisti dell’evangelizzazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli ambienti sociali e culturali, nell’economia, nella politica. Camminiamo insieme, con la gioia nel cuore e il canto sulle labbra. Dio è più grande delle nostre mediocrità: lasciamoci attirare da Lui! Confidiamo nella sua provvidenza».

A margine dell’intervento di Papa Leone XIV non è mancato il messaggio dei vescovi italiani, portato dal cardinale presidente della Cei Zuppi: «A ottant’anni dalla fine della terribile Seconda guerra mondiale, confrontati con le guerre in cui oggi viene versato il sangue di Abele – afferma il porporato -, vogliamo assicurarle la nostra vicinanza, nell’impegno che personalmente lei ha preso nell’impiegare ogni sforzo perché questa pace si diffonda. Sentiamo proprio vera quella speciale sintonia che unisce la Chiesa italiana al successore di Pietro, vescovo di Roma e primate d’Italia. Giovanni Paolo II, quasi parafrasando sant’Agostino, disse: “Siamo i vescovi di questa Chiesa, tutti insieme lo siamo, voi e io, vescovo con voi e come voi nella Chiesa in Italia”».
Quindi la riconoscenza del cardinale Zuppi: «Grazie, Papa Leone, del suo presiedere questa comunione – sottolinea il cardinale Zuppi -, perché il primato garantisce la collegialità e la sinodalità. Sono con noi le nostre Chiese, le nostre comunità, i preti, i consacrati, i laici, e anche tanti compagni di strada che con impegno, anche qualcuno che sembrava improbabile, hanno intrapreso in questi anni il cammino sinodale, per realizzare quell’invito che Papa Francesco ci rivolse proprio 10 anni fa a Firenze: “Puntate all’essenziale, al kerigma, cioè a parlare in modo diretto e personale di Gesù”. Ci chiese che fosse tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, e suggerì che la Chiesa in Italia fosse protetta da ogni surrogato di potere, di immagine, di denaro. È stato ed è il nostro impegno, per rendere ragione della speranza che è in noi, in una stagione dove di speranza ne serve davvero tanta: per una Chiesa accogliente, vicina alle attese di tanti, di tutti, particolarmente dei poveri».
Da qui l’impegno rilanciato dal presidente della Cei: «Dopo dieci anni – conclude il cardinale Matteo Zuppi – ci piace ancora di più una Chiesa italiana, come disse Papa Francesco, inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. La desideriamo lieta, col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. E per essere così, se serve, innoviamo con libertà. Vogliamo che tutti si sentano a casa nella casa di Dio. Dove anche il fratello maggiore impara a sentire sua la festa della misericordia, della gratuità, della fraternità ritrovata».

Rispondi