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Santa Maria Goretti

Umile lezione di agiografia ad uso dei «laici» razionalisti

In questa nostra rassegna di bimbe sante del Novecento, non potevamo dimenticare «la piccola e dolce martire della purezza», come l’ha definita Papa Pio XII nell’omelia per la canonizzazione: Santa Maria Goretti. La sua vicenda è piuttosto nota, e, come ogni storia di ordinaria santità (vd. per es. il caso di Chiara Corbella, di cui abbiamo parlato, che è proprio di questi giorni), ha prodotto e produce ancora oggi, a oltre un secolo di distanza, ammirazione e sospetti.

Questo modesto contributo prenderà le mosse da un saggio pubblicato nel 1985 dallo storico e giornalista Giordano Bruno Guerri, intitolato «Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti». Il titolo emblematico rivela l’ambizioso proposito di ricostruire «la storia vera», non già quella alterata dalle esigenze agiografiche e dagli oscuri intrighi di ecclesiastici e fascisti, che, a detta dell’autore, avrebbero trasformato una bambina povera ed analfabeta in una martire della castità. Dopo aver ricostruito con precisione storica le condizioni di povertà, sfruttamento e ignoranza in cui versavano gli abitanti delle Paludi Pontine alla fine dell’Ottocento (titolo della sezione: Il Calvario), Guerri ricostruisce la vicenda che è al centro delle polemiche: l’assassinio della dodicenne marchigiana per mano del vicino di casa, il diciottenne Alessandro Serenelli. Con un certo sarcasmo, l’autore intitola questa seconda parte Il martirio: in realtà egli, ricostruendo i fatti, mira a evidenziare come le prime deposizioni rese dai protagonisti e dai testimoni non contenessero proprio alcuna «traccia inequivocabile di eroico martirio». Il «mito della santità» di Maria Goretti sarebbe stato invece costruito artificialmente attraverso una progressiva e sistematica manipolazione sia delle informazioni relative alla sua vita (persino il suo ritratto fisico fu alterato, così che il fragile corpicino – che all’atto dell’autopsia mostrava gli effetti della miseria, della denutrizione, del pesante lavoro nei campi e della malaria – fosse adattato ai canoni delle «immaginette dei santi»), sia dei resoconti dei testimoni. Persino l’immagine di Alessandro come assassino pentito e convertito alla fede (conclusi i ventisette anni di reclusione, egli si riconciliò con la famiglia Goretti e trascorse il resto della sua vita in un convento di cappuccini) somiglierebbe a una montatura creata appositamente per «esigenze agiografiche». Assecondando le istanze della Chiesa cattolica, prima il Fascismo incoraggiò la devozione popolare per favorire la nascita di un’icona cara ai contadini; poi il partito comunista (nelle persone di Berlinguer e Togliatti) additò nella piccola santa coraggiosa e tenace un esempio da imitare per le giovani militanti comuniste. In definitiva, L’ascesa in cielo di Maria Goretti (questo il titolo dell’ultima sezione) sarebbe stata il frutto di astuti giochi politici e consapevoli falsificazioni, all’origine dei quali non v’è traccia di una reale santità. Il saggio offre pure occasione per un attacco alla cosiddetta «Fabbrica dei Santi», con cui la Chiesa cattolica (Giovanni Paolo II in primis) cerca di rimpinguare il calendario, dotando «ogni Paese dei suoi santi, scegliendo di preferenza tra i cattolici che (…) sono stati vittime del potere politico per fedeltà alla Chiesa e alla sua religione».

Non sorprende che simili posizioni abbiano suscitato il plauso soddisfatto dei sedicenti laici (ormai da tempo strutturati come Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) e lo sdegno irritato degli ecclesiastici. Questi ultimi hanno addirittura istituito una Commissione per la valutazione e la confutazione delle tesi del Guerri: ne sarebbero venuti fuori 79 «errori», che l’autore ovviamente non ha perso occasione di confutare dall’alto della sua cattedra.

Mi sia consentito ora spezzare una lancia in favore di entrambi i contendenti: da una parte di quanti, in nome di una maggiore aderenza alla realtà storica, adoperano gli strumenti della ragione per denunciare deformazioni e volontarie alterazioni; dall’altra di quanti, in nome di precise istanze ideologiche e morali, ammettono tali deformazioni e alterazioni. Chi abbia occasione di frequentare la produzione agiografica sa bene che essa è un genere letterario guidato da precisi meccanismi (anche retorici) e ispirato a precise esigenze. Dalle origini a oggi, è più che normale che il santo sia idealizzato, trasfigurato, in un certo senso «perfezionato», eliminando o riducendo le imperfezioni, e aumentando ed evidenziando per contro tutti quegli aspetti che lo avvicinino alla santità perfetta. D’altra parte, è compito degli storici ricondurre queste figure al livello della realtà umana. Nessuno ha torto, nessuno ha ragione (non del tutto almeno).

Per Maria Goretti, come per tutti i santi di cui esista una tradizione agiografica, il problema non è tanto valutare «storicamente» se la bambina possieda i requisiti della santità. Probabilmente, a un esame di questo tipo, i nostri calendari resterebbero pressoché vuoti. Perché, in fondo, che cosa significa essere santi? Nell’immaginario comune, il santo è una sorta di super-uomo, una persona che per virtù e qualità si pone al di sopra del livello comune, che magari porta nel corpo i segni della crocifissione o – meglio ancora! – è in grado di compiere miracoli e prodigi (quasi fosse un prestigiatore) che ne attestino la straordinarietà. Potrebbe (o dovrebbe) essere nato in circostanze inspiegabili, tra segni celesti e cori di angeli, avere visioni angeliche o fluttuare a un metro da terra (come il Socrate di Aristofane!) e, possibilmente, avere un aspetto diverso, non del tutto umano, che ne riveli la natura quasi divina e celeste… Nessun santo nella storia del mondo è stato esattamente così! Ogni santo è stato semplicemente un uomo, un uomo vero, che però ha accolto con gratitudine e rispetto i doni e la grazia di Dio (quel Dio in cui fermamente crede), così da lasciarli agire nella propria vita, in parole e opere. Attraverso alcuni quello stesso Dio ha compiuto prodigi; attraverso altri ha più semplicemente insegnato l’umiltà, la purezza o l’accettazione del dolore (vd. per es. Nennolina e la nostra conterranea Anfrosina, delle quali abbiamo parlato); attraverso altri ancora ha diffuso il Vangelo, ora a parole, ora con le opere, ora fino all’effusione del sangue. Solo chi ha fede può scorgere in queste persone, apparentemente così «normali» e simili a noi, la presenza di Dio. D’altra parte, quanti a Nazaret furono capaci di riconoscere il Messia nel «carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone», le cui sorelle vivevano proprio nel loro villaggio (Mc 6,1-6)?

Questo è probabilmente il primo errore che le menti abituate a ragionare razionalisticamente tendono a compiere davanti a chi ha fama di santità. Sua diretta conseguenza è la pretesa di ricondurre eventi e comportamenti umani a manualistici fenomeni e meccanismi sociali e psicologici. Nel caso di Guerri, l’ampia sezione dedicata alla ricostruzione della vita nel Pontino vuole mettere in chiaro le premesse della violenza. In questo modo, Maria appare una ragazzina malaticcia e analfabeta, che reagisce istintivamente al tentativo di stupro; Alessandro diventa invece un giovanotto frustrato, costretto a vivere in un ambiente misero e sessuofobico, in una famiglia che ha già registrato vari casi di pazzia e alcolismo. L’una ne esce «demitizzata», l’altro quasi «giustificato».

Guerri è inoltre preoccupato di dimostrare che la reazione di Maria di fronte alla tentata violenza non avesse nulla a che vedere con la sua religiosità, che era «poca», «superficiale» e «indotta dall’ambiente» in cui viveva: «la sua resistenza allo stupratore fu comprensibilmente istintiva quanto il suo grido “Dio non vuole”». E chi ha mai detto che i santi debbano essere consapevolmente tali? Chi ha mai detto che i martiri debbano esserlo per scelta, quasi programmando nei dettagli la propria testimonianza? Anzi, chi frequenti la letteratura sui martiri e i santi, sa che quello del martirio volontario, consapevolmente scelto o addirittura cercato, è o un topos letterario (penetrato in letteratura in età tarda) o un’eresia (quella montanista per la precisione) che la Chiesa cattolica ha sempre combattuto. Il martire è tale perché in una determinata circostanza ha accettato e accolto la morte impostagli dall’esterno e con essa ha reso perfetta la sua testimonianza. Questo è anche il caso di Maria Goretti, e poco importa sinceramente se i politici di destra o di sinistra ne hanno fatto un’icona al proprio servizio: al di là delle strumentalizzazioni, Maria rimane comunque una «vergine martire».

Nella tipologia della vergine martire, poi, Maria Goretti introduce un elemento di originalità sul quale forse si è poco ragionato finora. Prima di lei questo titolo è stato assegnato a donne che, nel lontano tempo delle persecuzioni, rifiutavano non solo di macchiare il proprio spirito adorando gli idoli, ma anche di contaminare il proprio corpo assecondando gli appetiti sessuali di persecutori e amanti, che, respinti, le denunciavano (vedi per es. Lucia, Agata, Cecilia, Agnese, Rufina e Seconda). I testimoni raccontano invece che Maria era preoccupata di preservare dal peccato non solo se stessa (giovanissima aveva maturato il proposito di morire piuttosto che peccare), ma anche e soprattutto Alessandro, che ella cercò di dissuadere gridando che un simile gesto era contrario alla volontà di Dio e gli avrebbe procurato l’inferno. Neppure in punto di morte ella dimenticò questa sua preoccupazione: «Per amore di Gesù gli perdono; voglio che venga con me in Paradiso». Se pure il martirio non sia considerabile un atto consapevole e volontario, il perdono lo è certamente, e attesta la sensibilità e la fede profonda della piccola imitatrice di Cristo. Proprio dal perdono nasce la conversione di Alessandro, che Guerri dipinge come una costruzione appositamente studiata da chi aveva interesse a proclamare una nuova santa. Ma, leggendo il testamento scritto da Alessandro poco prima di morire (link), difficilmente si possono nutrire dubbi sulla sincerità della sua conversione, maturata – a quanto egli stesso racconta – a seguito di un sogno: egli avrebbe visto Maria offrirgli dei gigli (simbolo di purezza) che, nelle sue mani, si trasformavano in lumicini. Si può credere o non credere a queste visioni, ma il risultato è piuttosto evidente.

Diremo ancora che la fama di santità di Maria Goretti è una pura costruzione architettata da una Chiesa interessata a riempire di santi i calendari e assecondata da regimi compiacenti? Piuttosto diremo che esiste un preciso confine tra storia e agiografia. L’agiografia inevitabilmente rielabora, enfatizza, idealizza, in certa misura – è vero – costruisce in base a modelli ideali: chi, come storico con pretese razionalistiche, sconfina in questo campo, può restare stupito, contrariato, addirittura offeso, e si può anche comprendere se, spinto da un entusiasmo tutto intellettuale, cerca di rimettere in ordine le cose. Il risultato, tuttavia, il più delle volte è solo fraintendimenti e inutili polemiche. L’agiografia non mira a ricostruire la pura realtà dei fatti e dei personaggi, ma a suggerire un modello, migliorato e nobilitato, a cui il fedele comune può ispirarsi e da cui può trarre insegnamento. È una prospettiva diversa: al lettore la scelta.

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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2 Comments on Santa Maria Goretti

  1. Gabriele // 15 Luglio 2012 a 16:29 //

    Grande insegnamento Sabrina, grazie per i dettagli sempre cosi chiari e precisi.

  2. fulvia // 15 Luglio 2012 a 15:46 //

    Ottimo articolo: lucido,
    concreto ed esaustivo!!! Complimenti!

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