Una moderna chiacchierata pasquale – III
![Nolimetangere](https://www.laporzione.it/wp-content/uploads/2013/04/Nolimetangere.jpg)
– Fra’ Domenico, avete qualche minuto da dedicarmi?
– Oh, frate Angelico, e chi non sarebbe felice di sentirsi in dovere di trascorrere del tempo con voi? Tanto più se m’invitate voi stesso, certamente mi dedico qualche minuto in vostra compagnia! A che devo il piacere?
– Ecco, non so se la cosa possa sorprendervi, ma vorrei approfittare di quel piccolo debito che una settimana fa contrassi con voi, quando voi mi richiamaste per discutere di quel problema che vi angosciava la coscienza. Ve ne ricordate?
– E certo che me ne ricordo! È una settimana che sono tornato a dormire come un bambino, la notte!
– Me ne consolo, e ricordate che vi dissi che ero certo che anche voi mi avreste offerto il conforto delle vostre parole come io lo offrivo a voi?
– Oh, frate Angelico, devo scorgere tra le prime rughe della vostra fronte qualcosa che turba la vostra anima?
– In qualche modo sì, ma credo non sia niente di grave: tuttavia vorrei chiedervi di riaccompagnarmi nelle celle dei novizî. A parte il mio invito, vi consiglio di passare a osservarle con calma, fintanto che potete: ormai sono quasi finite, e presto anche il priore del convento potrà accedere ad ogni singola cella soltanto in visita, e comunque non senza pensare che vi sono persone ad abitare lì.
– Proprio a quelli penso, quando con la mente torno alle vostre immagini, e cerco di non indugiarvi troppo per non dovermi poi sorprendere con qualche moto d’invidia nei loro confronti. Certo le celle non fanno il religioso, però di che si vuole che viva, un’anima, se non di bellezza?
– Immagino che sappiate quanto io concordi con voi, caro fra’ Domenico. Dunque entrate in questa cella, che peraltro fu tra le prime che affrescai qui dentro, e ditemi che cosa vedete: qual è il soggetto che l’affresco qui contenuto rappresenta.
– Non capisco la domanda che mi fate, frate Angelico. V’è per caso un trabocchetto? Questo è chiaramente un “noli me tangere”[*], ma perché me lo chiedete?
– Volevo solo vedere se avreste risposto così. Francamente speravo di no, ma non lo dico perché la cosa mi scandalizzi, figuratevi…
– Frate Angelico, mi confondete: che altro è, questo affresco, se non un “noli me tangere”? Vogliate almeno chiarire dov’è l’errore, se ho dato una risposta errata, perché il mio errore nasce – ve lo dico chiaramente – da quello comune.
– Sì, ne ero al corrente, giacché ho sentito alcuni confratelli parlare tra loro con entusiasmo di questa cella e di questo “noli me tangere”. Volevo dunque vedere se il vostro giudizio vi avesse portato un po’ più in là degli equivoci comuni.
– Se me lo consentite, frate Angelico, vorrei fraternamente farvi notare che non sento altro che supponenza e saccenza, nelle vostre parole, e che se l’intento con cui mi avete chiamato qui era burlarvi della mia impreparazione in campo pittorico, beh, siete ben lungi dal profilo del cristiano che le Scritture ci tracciano. Da parte mia, voglio accogliere pienamente ogni critica e ogni insulto, per amore di ciò che Cristo ha patito per me, e se mi tocca fare – come gli interlocutori di Socrate nei Dialoghi di Platone – la parte dello sciocco perché l’argomento possa essere sviluppato, la faccio volentieri. Quello che non capisco proprio è perché voi vi degradiate tanto nell’accanirvi contro le miserie di chi sapete già in partenza non essere meno miserabile di voi stesso.
– Accogliete la mia contrizione, fra’ Domenico, e perdonatemi, ve ne prego. In un certo senso vorrei dirvi che siete stato voi a travisare le mie intenzioni – ed è fuori discussione che io abbia mai mirato all’umiliarvi – ma riconosco che la mia anima è tesa e inaridita, in questi giorni. Come vedete il mio dubbio è molto meno appariscente del vostro, che vi tormentava dieci giorni or sono, eppure anche per questo è tanto più pauroso.
– Che vi succede, frate Angelico? Qual è la pece che invischia le ali della vostra anima al punto da rendere tanto sgraziato il suo volo? Il mio perdono è venuto a voi un istante prima che me lo chiedeste, e la mia preghiera vi accompagnerà con la costanza di sempre e un rinnovato fervore. Fatemi però capire cosa mai vi turbi tanto.
– È presto detto, amico caro, anzi è già detto tutto quanto: anche quando non m’interesso direttamente di cosa i nostri fratelli dicano del mio lavoro, è facile che mi giungano alle orecchie, più o meno indirettamente, le voci, le impressioni, i commenti. Si tratta praticamente sempre di grandi elogî, non lo nego, e per questo motivo dovrei essere tanto più vigile nei confronti della mia coscienza, che non abbia a gonfiarsi smodatamente d’amor proprio. Tuttavia ultimamente questo gagliardo amor proprio che mi prende quando sento parlare dei miei lavori rivela il fondo della sua vera natura, che è demoniaca, instillandomi sentimenti sprezzanti per i miei confratelli e in generale per tutti gli uomini.
– Questo è un rischio che tutti gli uomini di un qualche talento corrono, e da cui fanno bene a guardarsi, come m’insegnate; i mediocri, da parte loro, incorrono più facilmente nell’invidia, e quando invidiano il talento dell’uomo di genio, proprio perché il vizio è nemico del cuore umano, non invidiano davvero il suo talento, ma piuttosto gli onori e i beni secondarî che da quel talento gli fruttano.
– Una magra consolazione, fra’ Domenico, e fra l’altro le cose potrebbero non stare semplicemente in questi termini, dal momento che io riconosco in me le vestigia dell’uno e dell’altro strumento diabolico: in realtà, credo che nessun genio salvi l’uomo dall’invidia, perché ogni genio è per se stesso proteso alla creazione, alla conquista, all’azione nel mondo, ma né queste cose né quelle ad esse contrarie possono estirpare un qualsivoglia vizio. Solo la grazia di Dio…
– A questa appunto vi affido, da parte mia, e a questa voi pure dovete affidarvi, come ben sapete. Ora però perché non mi spiegate meglio che cosa avete inteso raffigurare in questo affresco, se non un “noli me tangere”.
– Francamente – e ve lo dico deponendo quanto più posso la stizza che v’ho confessato amareggiare il mio cuore – vorrei che qualcuno sapesse prima spiegarmi donde viene la consuetudine di chiamare una simile rappresentazione “noli me tangere”.
– Ma dal Vangelo secondo Giovanni, frate Angelico! Laddove si legge aver Nostro Signore apostrofato Santa Maria Maddalena per aver tentato di toccarlo, cosa non conveniente in quanto Cristo Signore non era ancora asceso al Padre [cf. Gv 20, 17].
– Ah, e cos’è? Credete che sarebbe arrivato in cielo con la veste sgualcita dall’abbraccio e impolverata da quanto la poverella, essendosi fino ad allora straziata il cuore dal dolore, gli avrebbe gettato indosso? …No, vi chiedo scusa, non è questo il tono, vengo al punto: vedete che cosa porta Cristo in mano e sopra la spalla?
– Giusto Cielo, è una zappa! Ma da dove salta fuori?
– Dal medesimo Vangelo da voi ora ricordato, che non più di un rigo sopra del passo da voi citato afferma apertamente che Santa Maria Maddalena aveva preso Nostro Signore per il giardiniere.
– È vero, certo, e in effetti ogni volta che mi sono trovato quel passo sotto gli occhî ho indugiato di fronte a questa stranezza: che «la gloria del Cristo risorto» – come noi piamente in nome di lei cantiamo e riteniamo aver ella stessa rivelato ai Dodici – fosse tanto dimessa da lasciar misconoscere il Cristo, e questo da parte di una persona che lo conosceva a fondo e da lunghi anni… Mi pare che il nostro luminoso san Tommaso abbia trattato di questo problema, se non sbaglio.
– Oh, ne ha trattato, sì, e molte volte, ma questo testimonia tanto più quanto poco egli stesso abbia preteso di aver esaurito a fondo il mistero della carne gloriosa di Cristo. Quello che delle sue numerose speculazioni m’è rimasto più impresso è il motivo che espone citando il Crisostomo, ossia quello per cui Cristo avrebbe voluto mettere in guardia Maria dal pensare che, per il solo fatto che la sua carne era sempre e comunque “vera”, ella avrebbe potuto e dovuto trattarlo come lo trattava prima. Paolo stesso aveva detto: «Se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora tuttavia non lo conosciamo più secondo la carne» [cf. 2 Cor 5, 16]. Penso che questo fosse il motivo fondamentale che spinse Cristo ad ammonire così seccamente quella donna, che pure amava particolarmente e che vedeva in lacrime d’incredulità e di fraintendimento.
– A me pare di ricordare che qualcun altro, forse Agostino, avesse individuato anche un senso mistico a quel brano, e l’ho ritenuto perché mi colpì molto la consueta audacia della “stella dei dottori”: egli diceva che si conosce ordinariamente mediante la vista, ma che la conoscenza giunge a compimento col tatto, e che in relazione a ciò l’imperativo di Cristo doveva suonare come motivato da un’imperfetta conoscenza che di lui Maria doveva ancora avere. Per spiegare allora come ella sarebbe potuta giungere a “toccare” Cristo, Agostino illustra come l’ascendere al Padre significhi misticamente l’entrare nel cuore di chi lo ama, lì dove ha promesso di essere col Padre e con lo Spirito. Non vi ricordate qualcosa del genere?
– C’è senz’altro un passo simile, in Agostino, e del resto Tommaso dovrebbe averlo riportato vicino a quello del Crisostomo, se la memoria non m’inganna; questa discussione, però, ci sta portando un po’ fuori dal seminato.
– Già, dovete tornare a spiegarmi la zappa.
– La zappa, ecco: quell’affresco rappresenta Nostro Signore così come dovette vederlo la Maddalena, mentre non la disperazione, ma Cristo stesso disponeva di essere visto così. Del resto, disse Gregorio Magno ottocento anni fa in una splendida omelia tenuta in San Giovanni, nel suo sbagliare, la Maddalena non si sbagliò: davvero Cristo stava disseminando, da buon giardiniere, i semi delle virtù e di ogni grazia nel cuore di lei.
– È vero, e dev’essere a questo che si riferisce la Scrittura, laddove dice: «Ho detto, irrigherò il mio giardino, che avrò ben coltivato, e rinfrescherò il frutto del mio prato» [Sir 24, 42].
– Niente di più facile, caro fra’ Domenico; del resto, il senso spirituale delle Scritture è infinito.
– Insomma, voi vi crucciate tanto perché si fa generalmente confusione tra due episodî intercorsi a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro?
– Non sono pochi secondi quelli in cui si nasce, si mette al mondo una creatura, si concepisce un’idea geniale? Infine, non sono pochi secondi quelli in cui l’anima si separa dal corpo? Quante cose cambiano essenzialmente in pochi secondi? Maria Maddalena aveva davanti Nostro Signore visibile, in carne ed ossa, eppure non riusciva a scorgere che un giardiniere. La statura, il volto, la voce… niente di quella presenza per lei già consueta poté guidarla nel riconoscere colui che conosceva; pochi secondi dopo, invece, riconosceva al contempo, in quello che aveva creduto essere un giardiniere, il cadavere che stava cercando e il proprio Maestro.
– E questa manciata di secondi, dite voi…
– È precisamente ciò che ho inteso raccogliere nel mio affresco, e spero possiate capire – fermo restando l’infantilismo, se volete, del mio sfogo – perché la cosa mi spiaccia tanto. Se almeno potessi capire donde s’è originato il malinteso, almeno potrei forse fare qualcosa per impedirne il dilagare…
– Vedo che siete tuttora provato, frate Angelico, e non mi sognerei mai di venire ora a minimizzare ciò che dite essere invece tanto importante: lasciatemi però dire che la vostra domanda ha una risposta, può darsi, che perfino io conosco. Non so di rappresentazioni anteriori a quella patavina di Giotto, con questo soggetto, e so con certezza che anche persone molto più di me addentro alla materia chiamano quell’affresco “noli me tangere”.
– Il Giotto degli Scrovegni, dite? Sì, ciò che dite è perlomeno probabile, ma il fatto è che quello è davvero un “noli me tangere”, e Cristo in mano non ha una zappa, a indicare il suo stato d’incognito, bensì il drappo cruciforme con su scritto “Vincitore della morte”!
– Voi dite, dunque, che la mancanza della zappa basta a distinguere nel medesimo soggetto il “noli me tangere” da ciò che intendete voi?
– Vi dirò di più, amico mio: pochi anni dopo la commissione patavina degli Scrovegni, Giotto fu chiamato anche ad Assisi, per affrescare le basiliche francescane. La basilica inferiore ha un’intera cappella dedicata alla Maddalena: lì Giotto volle che Cristo brandisse non la bandiera che gli aveva già assegnato a Padova, bensì un badile.
– Confesso che non ricordo questo dettaglio, frate Angelico. Ne siete sicuro?
– Come del fatto di non aver affatto inteso affrescare qui un “noli me tangere”: in effetti – ve lo dico senza falsi pudori, perché un artista non è necessariamente tenuto a inventare tutto – proprio a quell’affresco assisiense mi sono ispirato per questa parete.
– Sicché voi dite che Giotto stesso abbia inteso operare una distinzione tra due modelli iconografici, e che già ora, un secolo e mezzo dopo quegli affreschi, il giudizio degli studiosi di cose d’arte fa confusione esattamente come quello comune?
– È lampante, mi pare, almeno alla luce di quanto entrambi abbiamo richiamato!
– Va bene, ve lo concedo. Ma sareste così paziente e caritatevole da volermi rispiegare per bene perché questa differenza sarebbe così capitale, secondo voi?
– Certamente, fra’ Domenico, tenterò di essere più chiaro: le due situazioni sono praticamente identiche in tutto, perché si svolgono a distanza di pochi secondi l’una dall’altra, eppure il particolare del riconoscimento fa sì che la seconda sia radicalmente diversa dalla prima. Il riconoscimento, però, non avviene perché la Maddalena giunge al termine di un processo induttivo o deduttivo, né perché Cristo offra dei particolari distintivi, come invece farà con Tommaso sette giorni dopo. Cristo, per così dire, apre un canale con lei quando la chiama per nome, ed è questo che pone la differenza radicale tra questa scena e il “noli me tangere”.
– «Come se dicesse: “Riconosci colui dal quale sei riconosciuta!”».
– Esattamente! E sempre san Gregorio proseguiva, in quella splendida omelia, osservando che appena lui l’ebbe chiamata per nome lei si rivolse a lui chiamandolo “suo maestro”: «[…] perché egli era lo stesso che lei cercava esteriormente e che interiormente l’ammaestrava a cercarlo». Capite perché – specie nella cella di un novizio – che questa sia la rappresentazione di un “noli me tangere” o che non lo sia non è cosa veramente indifferente?
– Probabilmente sì, ora vi capisco meglio: in sintesi, avete posto quella zappa sulla sua spalla perché l’osservatore capisse che egli non sta dicendo a Maria Maddalena di non toccarlo, bensì all’osservatore – tramite Maria Maddalena – che non si diventa credenti, e quindi poi testimoni ed apostoli, se non quando Cristo ci chiama per nome.
– Perfettamente! E capite dunque che memoria fondamentale questa sia e debba essere per un novizio? Se cerca Cristo in una via di perfezione, per quanto tormentata, difficile ed intricata sia stata la sua vita, è perché Cristo stesso lo ha invitato a questa e di essa lo ha reso capace.
– Ecco, effettivamente il Cristo sembra comunque in atto di dire qualcosa, tanto più con quella mano distesa e serena: voi dite che non stia per pronunciare altro, con quelle labbra divine, che il nome di Maria Maddalena?
– Il suo e quello di ogni discepolo, fra’ Domenico, sì: così egli compie per noi e in noi quel miracolo pasquale che ci fa passare dal credere di credere, dal credere per sentito dire – come dice Giobbe –, al legame vero, diretto e personale di Cristo con ciascuno e con tutti.
* Così viene generalmente designato lo schema pittorico rappresentante Gesù nel giardino della risurrezione e la Maddalena davanti a lui (normalmente in ginocchio). Il nome viene dalla locuzione di Gesù a Maria Maddalena, che cercava di stringerlo a sé: «Non mi toccare» (o “non trattenermi”).