Occupazione e povertà: facce della stessa medaglia
«Il tasso di disoccupazione giovanile sopra il 40%, rilevato dall’Istat, rappresenta solo la punta dell’iceberg dei danni economici e sociali provocati dall’attuale crisi». Lo ha affermato, in una nota di ieri, Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli, Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: «In realtà – aggiunge Bottalico – la situazione è molto più grave di quello che lasciano presupporre i rilevamenti statistici. Le giovani generazioni stanno facendo l’esperienza non solo di una drammatica assenza di lavoro, ma soprattutto del degrado della stessa idea di lavoro, ormai ridotto a lavoretti saltuari e malpagati, senza prospettiva di stabilizzazione. In una parola di un lavoro sempre più ridotto a merce. Gli stessi contratti per giovani non di rado vengono usati per scardinare fondamentali conquiste sociali e sindacali. Ciò determina un’emergenza che non è solo economica e sociale ma anche culturale. Allora per interrompere questa spirale negativa, oltre a un serio piano industriale e di reindustrializzazione selettiva per il Paese, occorre ribadire l’idea che il lavoro deve essere necessariamente collegato all’accesso alla conoscenza, per poter essere fattore di socialità e di cittadinanza».
Per il presidente delle Acli, purtroppo, sempre più spesso oggi il lavoro in Italia va a braccetto con la povertà. Secondo l’Eurispes circa 8 milioni di italiani vivono appena al di sopra della soglia di povertà e quelli che sono al di sotto di tale soglia sono raddoppiati negli ultimi cinque anni: «Le Acli – assicura il presidente – intendono fare la loro parte per fronteggiare questa emergenza lavoro, che degrada nell’accelerazione dell’impoverimento dei ceti intermedi e nell’estensione della povertà. Un ruolo educativo e di formazione professionale per accompagnare le persone a orientarsi sui contratti di lavoro, sulle tutele, sulla mutualità e un ruolo di monitoraggio per individuare e costruire risposte ai nuovi bisogni sociali. Senza dimenticare, che il problema del lavoro riguarda tutte le fasce d’età e per questo occorre procedere nella direzione di un grande piano per il lavoro, per il quale vi è traccia d’investimenti nella legge di stabilità, ma la cui entità appare ancora di molto inadeguata ad affrontare la dimensione del problema. Occorre più coraggio nel ridare fiato alla domanda interna, aumentando o almeno mantenendo a livelli accettabili la capacità di spesa e di risparmio delle famiglie, attraverso il lavoro, attraverso il welfare, attraverso la leva fiscale».