“Dobbiamo dare più calore e colore alle nostre liturgie”
"I fedeli che vi partecipano - osserva don Bonaccorso - devono percepire di essere immersi nel flusso del mistero, a partire però dal loro vissuto quotidiano. La categoria di “immersione” è quella che rende così potente l’influsso dei nuovi media sulla vita della gente: perché non recuperarla e rivisitarla ad uso liturgico?"
«Dobbiamo dare più colore e calore alle nostre liturgie: i fedeli che vi partecipano devono percepire di essere immersi nel flusso del mistero, a partire però dal loro vissuto quotidiano». A 50 anni dalla prima Messa in lingua italiana, celebrata da Paolo VI nella parrocchia romana di Ognissanti – dove Papa Francesco celebrerà una Messa sabato – don Giorgio Bonaccorso, docente di liturgia all’Istituto Santa Giustina di Padova, ha fatto il punto – intervistato dall’agenzia di stampa Sir – sui cambiamenti intercorsi e sui traguardi da raggiungere. In particolare, l’esperto lancia una proposta, a partire da una constatazione: «La categoria di “immersione” – spiega don Bonaccorso – è quella che rende così potente l’influsso dei nuovi media sulla vita della gente: perché non recuperarla e rivisitarla ad uso liturgico?».
Dunque, a detta del docente, chi partecipa alla Messa deve star bene, sentirsi a casa: «Attenzione, però, – avverte il docente di liturgia all’Istituto Santa Giustina di Padova – a non usare trucchi o effetti speciali: i fedeli lo sentono subito, se nel rito hanno a che fare con dei prestigiatori».
Del resto, a seconda dell’esperto, l’introduzione della Messa in lingua italiana è nata dal bisogno di avvicinamento alla cultura degli uomini: «Si è scelto – precisa il liturgista – di utilizzare l’italiano al posto del latino non semplicemente perché si capisce, ma per favorire un dialogo sempre più profondo tra fede e cultura, che non si riduce mai però a una questione soltanto linguistica».
Ancora, a detta dell’esperto, nella liturgia bisogna tenere insieme, pur lasciando le debite differenze, il sacro e il profano, il vissuto quotidiano e l’eccedenza del sacro: «Certo – riflette don Giorgio – l’uomo di oggi è profondamente diverso da quello di cinquant’anni fa, basti pensare all’avvento dell’era digitale. Nonostante ciò, la sfida di sempre, per la liturgia è far entrare i nostri contemporanei nell’orizzonte della speranza, utilizzando anche le emozioni. Il rito deve essere capace di produrre, nella persona, una sorta di emozione olistica, che mi rasserena in quanto mi rimanda a un orizzonte unitario, trascendente, in grado di fornirmi un orizzonte di senso e di consentirmi di andare avanti».
In questa riflessione, è stato poi anche toccato il tema del calo dei fedeli a Messa: «In questi 50 anni – rileva Bonaccorso – la società si è profondamente individualizzata e la partecipazione si è rivelata l’anello debole. Senza contare che oggi si sono creati nuovi centri di aggregazione, distinti dalle parrocchie e assolutamente laici, non religiosi: penso alle discoteche, ma anche ai grandi centri commerciali».
Il consumismo, in altre parole, è diventato una forma di ritualità, che però a mio avviso non intende abolire, ma sostituire i riti religiosi: «Ecco perché – conclude don Giorgio Bonaccorso – è importante intercettare questa domanda di sacro, dando però ad essa il giusto orientamento, come si fa all’interno delle celebrazioni liturgiche».