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Filosofia per la vita –Cenone di capodanno con i filosofi

Sulla macchina del tempo alla ricerca del "capodanno filosofico". I filosofi mangiano come pensano.Epicuro

contentCome un sasso gettato in uno stagno suscita cerchi concentrici che si allargano sulla superficie, così un buon libro provoca in me un crescendo d’infinite risonanze. Pagina dopo pagina, sento il libro corrispondere sempre più a me e viceversa. Magìa per magìa, salterei sulla macchina del tempo per conoscere dettagli della vita di ogni singolo autore che poi dettagli non sono. Dove vive? Come sarà la sua casa? Con chi, e come, trascorre il tempo libero? Sarà simpatico; quali vizi e virtù avrà? Intrigano le vite degli autori che ci corrispondono, siano essi contemporanei o vissuti secoli fa. Pierre Riffard, nel libro dal titolo: I filosofi: vita intima (Raffaello Cortina Editore, euro 22,00), con dovizia di particolari e metodo scientifico, scrive quasi tutto quello che avreste voluto sapere sulla vita dei filosofi e nessuno vi ha detto mai. A differenza delle più note “Vite” di Diogene Laerzio o Plutarco, Riffard non indugia sulla vita del singolo filosofo ma cerca le costanti; compila vere statistiche con tanto di diagrammi, per abbozzare un profilo del “filosofo-tipo”: molti orfani e poche donne; pochissimi sposati; niente “bambini precoci” e “figli di papà”; la “busta paga” paga poco; molti gli espatriati e i professori di mestiere; malattie, amori e follie varie più o meno come tutti. Se è vietato scherzare solo “con i santi e con i fanti”, Riffard di certo non fa apologia dei filosofi svelandone anche buffonerie e capricci. Se l’immaginario collettivo reclama nel filosofo il matto, diciamo lo stravagante, il libro ci consegna una certezza: l’immaginario immagina bene.

Alle soglie del capodanno, propongo di saltare sulla macchina del tempo per immaginare il tipo di “cenone” che ci aspetterebbe se fossimo invitati da alcuni celebri filosofi. In altre parole: che mangiavano i filosofi?

A chi, tra i lettori, avesse subito pensato di passare il capodanno da Epicuro, che si supporrebbe dedito ai piaceri e alle gozzoviglie, diciamo: “deponi il ghigno, furbastro, non è come si narra!”. Epicuro non ama proprio raffazzonare cene e commensali per divertirsi. Come rivela lo stesso nome (Epíkouros, “alleato” o “compagno soccorritore”) il filosofo attribuisce somma importanza all’amicizia, più che alle comitive improvvisate che si formano all’ultima ora per festeggiare il capodanno. «Devi guardare con chi mangi e bevi prima di guardare che cosa mangi o bevi; infatti, desinare senza un amico è dividere le carni a modo di leone e di lupo». Per quanto riguarda il cibo, Diogene Laerzio scrive che Epicuro si accontenta «di acqua e di semplice pane». Se per il filosofo esistono tre tipi di piaceri – «Alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri né naturali e necessari» –, il cibo è sì tra i desideri del primo tipo ma la carne succulenta o i vini esotici non sono di certo considerati necessari. Il piacere, «principio e fine della vita beata», è salvato sul presupposto che «Pane e acqua danno il supremo piacere quando li riceve chi ne ha un effettivo bisogno». Per dirla in breve, il capodanno da Epicuro è consigliato ai gruppi di veri amici che si accontentano di mangiare il necessario.

Se invece state pensando a Socrate perché è l’autore del celebre Simposio, che lascerebbe ben sperare sulla sua predisposizione all’ospitalità, ricordatevi altresì che egli diceva: «Gli altri uomini vivono per mangiare, io mangio per vivere». I maligni sono liberi di pensare che Socrate avesse coniato la suddetta massima per rivelare ai posteri, cripticamente, che Santippe – tra le altre iatture – cucinasse anche male giusto per sopravvivere. Fonti storiche, invece, assolvono Santippe da questa malignità e confermano che Socrate fosse frugale per libera scelta. Per il filosofo il bello era l’utile, così, anche quando mangiava, si accontentava del cibo funzionale al solo sostentamento. Per dirla in breve, il capodanno da Socrate sarebbe sconsigliato da qualsiasi dàimon. “Conosci te stesso” e cerca altrove.

Per la serie: “noi non abbiamo inventato niente, compreso il cibo biologico e i suoi adepti salutisti”, fin dall’antichità esistevano filosofi vegetariani a vario grado e per varie ragioni – dall’affermazione della sensibilità dell’animale fino a sottilissime considerazioni sulle anime e sulla reincarnazione. Vegetariani, vegani, amanti di yoga e pratiche orientali, il filosofo che fa per voi è Pitagora! La cena pitagorica non supera i dieci convitati e vi si accede dopo un bagno freddo. A cena Pitagora mangia spesso «come companatico[…] verdure cotte e crude, pesci raramente, e si beve vino». I pitagorici mangiano anche pane e miele perché simboleggiano la metamorfosi, la vita e la morte: il grano diventa farina, il nettare diventa miele. In altre parole, per i pitagorici, i cibi sono simboli che richiamano i capisaldi del pensiero che vanno elaborando. Durante la cena, il più giovane membro della comunità legge Omero o Esiodo; il più anziano impartisce precetti. Per dirla in breve, se pensate che “semel in anno licet insanire” (“una volta all’anno è lecito impazzire”) non conviene andare da Pitagora – soprannominato anche: “mai una gioia”.

Per non dilungarci interrompiamo l’incursione sulla macchina del tempo, con dati sufficienti – ci sembra – per concludere che nei filosofi esista una stretta connessione tra il modo di pensare e il modo di mangiare. Lo ricorda anche il motto più celebre di Feuerbach, spesso l’unica citazione con cui si identifica l’Autore, che recita: «l’uomo è ciò che mangia». La sapienza filosofica – antica e moderna, occidentale e orientale – ha insegnato e praticato nella “vita intima” la convinzione che esista uno stretto rapporto tra spirito e carne, tra uomo e natura, tra individualità e intersoggettività, tra pensiero e benessere psicofisico. Ora, scesi dalla macchina del tempo, prepariamoci a trascorrere il capodanno come vogliamo ricordando che ciò che mangiamo o non mangiamo, come lo mangiamo e con chi lo mangiamo, rivelano molto della nostra persona, del nostro pensiero e del nostro corpo.

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Le citazioni sono tratte da: P. Riffard, I filosofi: vita intima, Raffaelo Cortina Editore, Milano 2005, cap. “Una dieta?”, pp. 231-235.