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11 milioni di italiani hanno rinunciato a cure per difficoltà economiche

Lo scambio pubblico-privato - secondo la ricerca - è cambiato, perché le esigenze di bilancio hanno spostato sulle famiglie una parte significativa del costo delle prestazioni sanitarie erogate dal pubblico. In estrema sintesi, si può dire che vince l’incubo delle liste di attesa troppo lunghe che sono il perno esplicativo dei comportamenti sanitari degli italiani di questi anni, le quali obbligano i cittadini ad usare il privato e l’intramoenia come porta di accesso accelerato alla cura

Lo ha rilevato nel 2015 la ricerca di Censis-Rbm Assicurazione Salute intitolata “Dalla fotografia dell’evoluzione della sanità italiana alle soluzioni in campo”

Nel 2015 11 milioni di italiani hanno rinunciato a cure per difficoltà economiche. È aumentata la spesa privata, anche per le liste d’attesa troppo lunghe. Sono alcuni dei dati che emergono dalla ricerca di Censis-Rbm Assicurazione Salute “Dalla fotografia dell’evoluzione della sanità italiana alle soluzioni in campo”, presentatata oggi a Roma al VI ”Welfare Day”.

La maggioranza degli italiani in modo trasversale a territori e gruppi sociali è convinta che il Servizio sanitario della propria regione sia peggiorato negli ultimi due anni (è il 45,1% degli italiani a pensarlo, +2,4% rispetto al 2015). E nelle regioni meridionali, questo peggioramento riguarda strutture e servizi che erano già considerati inadeguati rispetto ai fabbisogni sanitari locali.

Cresce ruolo e peso relativo della sanità a pagamento per i cittadini, in particolare la componente privata. Infatti, sono 10,2 milioni gli italiani che dichiarano che negli ultimi anni hanno fatto maggiore ricorso al privato. Ed è un dato tanto più rilevante, tenuto conto che sono anni di ridefinizione profonda dei bilanci familiari, con decurtazione delle spese.

La crescita del ricorso al privato è ascrivibile ad una ragione fondamentale che prevale su tutto il resto: la lunghezza delle liste di attesa (72,6%). È questa la ragione che più di ogni altra spiega perché i cittadini si rivolgono ad una struttura privata, seguono poi anche ragioni di comodità legate agli orari lunghi o all’apertura nel weekend o alla contrazione della matrice di prestazioni offerte nel servizio sanitario pubblico.

Giuseppe De Rita, presidente del Censis

Giuseppe De Rita, presidente del Censis

Sempre le liste di attesa spiegano il ricorso all’intramoenia da parte di 7 milioni di italiani in un anno. Se la ragione fondamentale è la lunghezza delle liste di attesa e quindi la volontà di accedere più velocemente alle prestazioni, tuttavia colpisce la quota di cittadini che esplicitamente dichiara che è stato il medico a consigliare il ricorso alla sanità a pagamento dentro le strutture pubbliche (22,9%).

Il dato rilevante, nella ricerca, è che cresce ulteriormente il numero di italiani che ha dovuto rinunciare o rinviare prestazioni sanitarie in un anno: erano 9 milioni nel 2012, mentre sono diventati oltre 11 milioni nel 2016 (+2 milioni). Meno sanità pubblica, più sanità privata e anche meno sanità e quindi anche meno salute per chi ha difficoltà economiche o comunque non riesce a pagare di tasca propria le prestazioni nel privato o in intramoenia.

È l’universo della sanità negata che non accenna a prosciugarsi e anzi tende a dilatarsi, di fronte ad una nuova geografia della sanità fatta anche di alte barriere e nuovi confini nell’accesso al pubblico e obbligo di fatto di comprare prestazioni sanitarie. Ampia è ormai l’area sociale che semplicemente non riesce a finanziarsi le prestazioni di cui avrebbe bisogno. Boom, quindi, della spesa sanitaria privata che nel 2015 sale a 34,5 miliardi di euro, con un aumento reale di +3,2% rispetto al 2013, praticamente il doppio della spesa totale per consumi.

L’incremento di spesa sanitaria privata è tanto più impressionante se si considera la dinamica deflattiva che, nel caso di alcuni prodotti e servizi sanitari, è rilevante. Del resto, pensando ai consumi sanitari e non alla spesa il 37% degli italiani dichiara che sono aumentati negli ultimi anni, il 56,7% che sono rimasti inalterati e solo il 6,3% che sono diminuiti. Insomma, più sanità soprattutto per chi può pagarsela.

Si è generalizzata tra gli italiani l’esperienza di ticket sanitari per singola prestazione, di poco superiori o uguali alla tariffa intera praticata nelle strutture private (45,4%, +5,6% rispetto al 2013). D’altro canto, non è alta la quota dei cittadini che dichiara di avere percepito la contrazione dei prezzi praticati nelle strutture private. In buona sostanza, i cittadini riscontrano più l’incremento del valore dei ticket che la tendenza alla riduzione delle tariffe nel privato.

Lo scambio pubblico-privato è cambiato, perché le esigenze di bilancio hanno spostato sulle famiglie una parte significativa del costo delle prestazioni sanitarie erogate dal pubblico. In estrema sintesi, si può dire che vince l’incubo delle liste di attesa troppo lunghe, che sono il perno esplicativo dei comportamenti sanitari degli italiani di questi anni, le quali obbligano i cittadini ad usare il privato e l’intramoenia come porta di accesso accelerato alla cura.

Per avere prestazioni nel pubblico devi aspettare a lungo e quando hai accesso, comunque devi affrontare costi che non sono sempre lontanissimi da quelli con i quali accedi al privato: ecco il nuovo frame in cui si collocano le scelte sanitarie degli italiani.

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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