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“Solo perdonando e accogliendo le diversità altrui vivremo in pace”

"Con le persone che non puoi vedere, con quelle che hai allontanato dalla tua vita o che ti sono antipatiche sappi una cosa - osserva don Valentino Iezzi -. Fino a quando non scegli di fare un cammino di perdono, tu non starai mai bene con loro. Se tu non accogli la diversità dell'altro, non avrai mai pace, sarai sempre uno che seleziona, sarai sempre un razzista, una razzista. E che significa accogliere la diversità? Accogliere chi esce fuori dai miei schemi mentali, accogliere chi non è come dico io, accogliere chi va oltre quello che la Chiesa ci ha sempre insegnato"

Lo ha affermato ieri don Valentino Iezzi, vicario episcopale, in occasione dell’arrivo della Croce della pace a Pescara

Don Valentino Iezzi, vicario episcopale, pronuncia la meditazione

Ieri sera la Croce della pace è arrivata puntualmente nel Santuario della Divina misericordia di Pescara per essere affidata dal direttore della Pastorale giovanile dell’Arcidiocesi de L’Aquila don Jean Claude Rajaonarivelo, insieme alla giovane aquilana Noemi, al direttore della Pastorale giovanile dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne don Domenico Di Pietropaolo affiancato dal giovane Alessandro.

La Croce della pace viene presa in consegna da Don Domenico Di Pietropaolo

Quindi la croce è stata posta sull’altare per dare inizio alla worship, il primo degli appuntamenti ideati e organizzati dalla Consulta diocesana di Pastorale giovanile (che da oltre tre anni raggruppa tutte le associazioni e i movimenti che in diocesi si occupano di pastorale giovanile) per animare le due settimane di presenza della Croce della pace,  dal tema “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”: «Queste parole – premette Giorgio Guido, di Comunione e liberazione – davano il titolo del messaggio che San Giovanni Paolo II pronunziò in occasione della Giornata mondiale della pace dell’1 gennaio 2002. Allora il mondo era stato appena sconvolto dall’attacco terroristico alle Torri gemelle, che “fece sperimentare con intensità nuova la consapevolezza della vulnerabilità personale”, come disse il Papa, e guardare al futuro con un senso fino ad allora ignoto di intima paura. La guerra in Ucraina, l’attacco a Israele del 7 ottobre scorso e le operazioni dell’esercito israeliano a Gaza, che sono seguite a molti altri conflitti nel mondo, rinnovano in ognuno di noi quei sentimenti di paura. Di fronte a questi stati d’animo, tuttavia, la Chiesa, prima di tutto attraverso le parole di Papa Francesco, testimonia ancora la sua speranza basata sulla convinzione che il male non ha l’ultima parola nelle vicende umane e che i pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono. Sembrerebbe assurdo riproporre esperienze come queste, che sembrano impossibili nelle circostanze attuali, ma è anche vero che in mezzo all’odio, alla morte e alla distruzione provocati dalle manovre militari e dai raid terroristici, abbiamo potuto vedere personalità – nei popoli coinvolti nei conflitti – che non si rassegnano all’odio e alla vendetta, che sembrerebbero la logica conseguenza di quanto accade».

A questo punto Guido ha citato alcune parole rilasciate da Padre Gabriel, parroco a Gaza da 28 anni, nell’ambito di un’intervista pubblicata un mese dopo l’attacco ad Israele del 7 ottobre 2023 in cui il religioso descrive la sua comunità: Ci sono 135 cattolici in tutto – racconta Padre Gabriel -, ma è una comunità molto unita e attiva, una presenza che si concretizza sul territorio attraverso tre scuole cattoliche aperte a chiunque, 10 gruppi parrocchiali e numerose attività al servizio di tutta la popolazione di Gaza. Per questa carità la comunità cristiana, pur rappresentando una minoranza invisibile, è stimata da tutti. In queste settimane, molti di noi hanno perso in maniera violenta i propri cari, le case e le attività. I bombardamenti non hanno risparmiato neanche le chiese, che ospitano centinaia di sfollati, ma l’odio non riesce a intaccare il cuore dei miei parrocchiani. Non è accaduto prima e non accade ora. Per questo rappresenta cristiana è così preziosa. Affermiamo una logica, quella della Croce, che è l’unica capace di dare speranza. Il dolore è enorme e a noi è chiesto di attraversarlo, di viverlo, a tutti prima o poi è chiesto. Il perdono, continua a padre Gabriel, è qualcosa di rivoluzionario, ma è frutto di una fede radicata. Se la nostra fede fosse solo pura emozione, non potremmo oggi perdonare, sperare, saremmo in preda alla disperazione. Il dolore è tanto, ma mai ho sentito qualcuno dei miei maledire Dio, mai. Pochi giorni fa una professoressa cristiana-ortodossa di una delle nostre scuole, ha scritto una lettera impressionante. Ha perso la mamma e il papà in un bombardamento dove lei è rimasta ferita. Alla fine della lettera chiede a Dio di essere la sua luce, di aiutarla a non cedere alla rabbia. Termina dicendo ‘Dammi la tua misericordia e grazie’». Alla fine dell’intervista, Padre Gabriel dice “Ci sentiamo abbracciati da Cristo e, come ha detto il Cardinale Pizzaballa, preghiamo e digiuniamo insieme a voi, perché questo abbraccio possiamo restituirlo e non abbiamo a perderlo mai”. Da qui l’auspicio: «La preghiera di questa sera – rilancia l’esponente di Comunione e liberazione – ci doni la fede e la forza che vediamo in questo sacerdote».

I partecipanti alla worship

A questo punto don Domenico Di Pietropaolo ha avviato un momento di preghiera, caratterizzato innanzitutto dall’intensa meditazione condotta dal vicario episcopale don Valentino Iezzi sul tema della serata: «Dopo l’attentato alle Torri gemelle – ricorda il presbitero – per la Giornata mondiale della pace il Papa ha scritto il messaggio intitolato “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”, in cui faceva riferimento al modo in cui i terroristi, sentendosi vittime degli americani, avevano cercato di fare giustizia. Avevano risposto alla violenza con una violenza che è stata ancora grande. E lui ha scritto questa lettera con questo slogan, proprio per dire che non si risolvono così le cose, non si fa pace così. Infatti, non c’è pace senza giustizia significa che quando qualcuno mi ferisce, quando qualcuno mi fa del male, io voglio giustizia. Ed è giusto che io desideri giustizia. O quando noi feriamo qualcuno, l’altro desidera giustizia nei confronti suoi. Però questa giustizia è facile farla a modo nostro. È facile risolvere le cose dicendo, “Tu mi hai dato uno schiaffo e io ti do uno schiaffo. Tu mi hai attaccato, io ti attacco”. Ecco perché il Papa dice benissimo “È vero che quando tu sei vittima di qualcosa tu chieda giustizia, però sappi che la giustizia non riesci a farla se non perdoni. Perché è solo perdonando la ferita che ti è stata procurata, o la ferita che hai procurato all’altro, che tu ritorni a stare in pace”. Quante volte abbiamo sentito anche in televisione queste mamme o mogli di persone assassinate, che in tribunale vogliono giustizia a tutti i costi per quello che è stato fatto? È una cosa bella, importante, ma dopo che hanno ottenuto la giustizia legale pensate che hanno ritrovato la pace? No, se non perdoni chi ti ha ucciso la persona, non ritrovi mai la pace, non ti basta mai la giustizia. È normale. E quindi il perdono è l’unica scelta del cuore che ti permette di ritrovare la pace. Infatti, la giustizia di Dio qual è stata? La misericordia. La giustizia di Gesù è stata il perdono. “Padre perdonali, perché non sanno quello che stanno facendo”. Quindi senza il perdono di vero cuore, non si ritroverà mai pace. Questo voleva dire il Papa con questa lettera, “Non scegliete di farvi giustizia usando altra violenza, ma imparate a fare giustizia prima di tutto perdonando chi ha fatto del male, poi potete chiedere anche tutto il resto”».

A tal proposito, don Valentino ha citato l’esperienza fatta da Nelson Mandela: «Che da giovane – ricorda il sacerdote – era un attivista, un rivoluzionario anti-apartheid, si ispirava a Marx e alla rivoluzione cubana. Quindi lui voleva fare giustizia, voleva portare l’uguaglianza tra neri e bianchi con la forza, così come i bianchi sopprimevano i neri con la forza. Infatti per fare mettere a posto le cose con la giustizia, si è ritrovato in galera condannato all’ergastolo. Una pena poi ridotta a 27 anni che hanno cambiato il cuore di Nelson Mandela, perché ha cominciato a leggere tutto quello che hanno compiuto le persone che veramente hanno fatto giustizia. Ha conosciuto bene la teoria della “nonviolenza” di Gandhi e l’esperienza di tanti altri. In quei 27 anni Nelson Mandela ha imparato a perdonare, lui ha perdonato e ha si è riconciliato anche con i suoi carcerieri ed è uscito dal carcere, dopo 27 anni, essendo un’altra persona. Infatti ha supportato la lotta contro il razzismo in Africa, diventando presidente del Sudafrica e facendo tantissimo bene. Una frase che lui ripeteva spesso era “Provare risentimento, cercare la giustizia provando risentimento, è come bere veleno, sperando che questo veleno uccida il nemico”. Cioè, quando tu provi risentimento, quel veleno uccide te. Se non perdoni, non vai da nessuna parte. E poi un altro esempio che voglio farvi per spiegare questa frase è quello che fanno i monaci cistercensi. Ogni sera, da sempre, si riuniscono nella sala capitolare e fanno tre cose. Innanzitutto si raccontano una cosa bella che il Signore ha fatto durante la giornata per loro, poi chiedono pubblicamente perdono a un fratello se si rendono conto di avergli fatto del male e, infine, dicono al proprio fratello se lui ha fatto del male a loro. Poi la soluzione si lascia in mano a loro, però ogni sera chiedono perdono e accusano chi ha sbagliato nei loro confronti, perché i monaci cistercensi sono convinti del fatto che senza la pace, cioè senza la riconciliazione, una comunità non va da nessuna parte. È quello che dovrebbero fare anche le coppie, anche se molte volte non lo fanno (come diceva San Paolo “Non permettete che tramonti il sole sulla vostra ira”). Infatti le comunità cistercensi funzionano bene, mentre le altre comunità – come le nostre – funzionano male. Tante famiglie, tanti gruppi di amici funzionano malissimo. Con questo voglio dirvi che la pace la costruisci solamente se scegli di perdonare chi ti ferisce e se chiedi perdono a chi hai ferito».

La bandiera della pace realizzata dai giovani partecipanti

Quindi una prima conclusione: «La pace viene dal perdono – sottolinea il vicario episcopale -. Se io so chiedere scusa, se io so accettare le scuse degli altri, io sto in pace. Invece quando io non so chiedere scusa, non so chiedere perdono e non so accettare il perdono che mi chiedono gli altri, io non avrò mai pace. Il perdono è una cosa facile? Assolutamente no. Il perdono si dà in un attimo? Assolutamente no. Più è grande la ferita che hai ricevuto, più è lungo il tempo e il cammino che hai da fare per perdonare. Poi per perdonare, molte volte, c’è bisogno anche di farsi aiutare, perché ci sono delle tappe per il perdono. Il perdono non è iniziare dicendo “Signore, fammi perdonare quella persona”, perché il primo passo del perdono è capire quanto mi ha fatto male quella persona e dare un nome al male che mi ha fatto, per poi cominciare a consegnare al Signore il male che mi ha fatto, il mio odio, il mio rancore, la mia rabbia, il mio giudizio. Consegnarglielo per un sacco di tempo e poi, quando vediamo che questo risentimento si alleggerisce, cominciare a chiedere allo Spirito Santo la grazia del perdono. Quindi il perdono è un cammino lungo. Perciò con le persone che non puoi vedere, con quelle che hai allontanato dalla tua vita o che ti sono antipatiche sappi una cosa. Fino a quando non scegli di fare un cammino di perdono, tu non starai mai bene con loro. Quando ripenserai a loro, ti salirà la brocca, ti sentirai indifferente o gelido, sentirai che ti darà fastidio. Quando dentro, per pensare a qualcuno, ti dà fastidio, ti risalgono certe emozioni, vuol dire che non hai perdonato e che hai un cammino di perdono da fare».

Al termine della meditazione, i tanti giovani partecipanti hanno rappresentato la pace attraverso un simbolo scenografico. Hanno srotolato un drappo, uno per ogni colore della bandiera della pace, fino a coprire in lunghezza l’intero Santuario della Divina Misericordia – dall’Eucaristia nel tabernacolo fino alla porta d’ingresso – mentre sull’altare veniva composta la parola “pace”: «Sapete perché la bandiera della pace ha tutti quei colori diversi? – interroga don Valentino Iezzi -. Perché vivere nella pace significa accogliere la diversità dell’altro. Se tu non accogli la diversità dell’altro, non avrai mai pace, sarai sempre uno che seleziona, sarai sempre un razzista, una razzista. E che significa accogliere la diversità? Accogliere chi esce fuori dai miei schemi mentali, accogliere chi non è come dico io, accogliere chi va oltre quello che la Chiesa ci ha sempre insegnato. Accogliere la diversità, perché lo Spirito Santo è Colui che per primo, ad esempio a San Pietro, gli ha insegnato ad accogliere la diversità dei pagani perché i giudei accoglievano solo i giudei. Quindi accogliere la diversità, prima di tutto, è imparare da San Pietro. Prima c’erano i ricchi e c’erano i poveri e i ricchi erano molto discriminanti verso i più poveri. E piano piano abbiamo imparato ad accogliere i ricchi, hanno imparato ad accogliere i poveri e i poveri hanno imparato ad accogliere i ricchi, perché siamo tutti figli di Dio. Poi sono arrivati i bianchi e i neri e, piano piano, lo Spirito Santo ha guidato i bianchi ad accogliere i neri e i neri ad accogliere i bianchi. E poi nella Chiesa, un po’ di anni fa, c’è stato il fenomeno dei divorziati e dei riaccompagnati, che erano considerati un tabù, delle persone da mandare via. Eppure, piano piano, lo Spirito Santo ha insegnato alla Chiesa ad accogliere e a voler bene anche a chi è divorziato o riaccompagnato. E adesso ci sono gli omosessuali… Perché il Signore ci dice che anche una persona può essere diversa. Si è detto che l’omosessualità non è una malattia e allora, perché non accogliere una persona omosessuale? Lo Spirito Santo ci sta portando verso questo e tra 30 o 40 anni ci porterà ad accogliere ancora dell’altro, se tu sei aperto. Se invece hai la mente chiusa, se invece pensi che la verità sta nella tua piccola testa, tu sarai sempre discriminante».

Il Santuario della Divina misericordia avvolto dalla bandiera della pace

Infine la provocazione del sacerdote: «Di fronte allo Spirito Santo – ricorda don Valentino -, che ci chiama ad accogliere chi è diverso, chi è diversa da noi, possiamo essere aperti e lasciarci guidare o possiamo invece essere chiusi pur dicendo di essere cattolici. Lo dico perché, tra poco, quelle strisce colorate passeranno in mezzo a voi e ti dovrai chiedere quali sono le diversità che faccio fatica ad accogliere oggi nella mia vita? Può essere anche tua cognata o tuo genero, che hanno un carattere che non ti piace, o quell’amica o quell’amico che hanno un modo di fare che non ti quadra. Noi cresciamo accogliendo la diversità degli altri. Non cresciamo quando siamo con persone simili a noi, ma quando siamo con persone diverse da noi. Quello ci fa crescere, quello ci fa diventare adulti, quello ci fa amare. Gesù ha accolto la diversità di 12 apostoli che erano uno più “strano” dell’altro, ma è stato accogliere quella diversità che glieli ha fatti amare. Quindi adesso passeranno queste strisce, che sono i colori della bandiera della pace, e il Signore ti chiederà “Ma tu quali sono le diversità che accogli e quali sono le diversità che fai fatica ad accogliere nella tua vita?”».

Al termine della meditazione è stato un momento di adorazione eucaristica ad anticipare la realizzazione della bandiera della pace e la conclusione della serata, con l’affidamento della Croce della pace alla foranìa di Città Sant’Angelo che per prima oggi la custodirà, e la consegna ad ogni singolo partecipante di un ramoscello d’ulivo e di una preghiera per la pace.

About Davide De Amicis (4384 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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