Sinodo: “Darà un volto alla Chiesa dei prossimi cinque anni”
"Mi piacerebbe che sia veramente affermata e riconosciuta – con tutte le conseguenze - una passione per il Vangelo proprio come buona notizia per la vita degli uomini e delle donne. Questo però implica che i primi dediti al Vangelo siamo noi, i cosiddetti professionisti del settore, che siano preti, catechisti, operatori pastorali. Vuol dire riprendere in mano questo Vangelo e farlo parlare per l'oggi"

Lo scorso martedì 28 gennaio, nell’ambito del ritiro mensile del clero dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne che si è svolto (sotto la direzione dell’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti) presso il Centro pastorale di Cappelle sul Tavo (Pescara), è stato il direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale – nonché sottosegretario della Conferenza episcopale italiana – monsignor Valentino Bulgarelli ad intervenire per stimolare nei sacerdoti pescaresi una riflessione sul cammino sinodale delle Chiese in Italia.
Tutto questo in vista dell’imminente Assemblea sinodale diocesana, che si terrà a Silvi Marina il prossimo 15 febbraio, ma soprattutto della seconda e ultima assemblea sinodale della Chiesa italiana che, dal 31 marzo al 4 aprile, trarrà le conclusioni di questo percorso di ripensamento molto impegnativo che ha coinvolto la Chiesa italiana in tutti i suoi ambiti e livelli. Per questo abbiamo voluto fare il punto della situazione con il noto presbitero, anche a beneficio dei lettori de La Porzione.it e degli ascoltatori di Radio Speranza InBlu.
Monsignor Bulgarelli, i lavori sinodali della Chiesa Italiana, un cammino che sta quasi per svolgere al termine. Tra marzo e aprile ci sarà la seconda assemblea sinodale, quella che dovrebbe tirare un po’ le conclusioni dopo la prima assemblea. Come sta andando questo grande lavoro, che è stato prima di ascolto e ora di riflessione e di sintesi per poi trarre le conclusioni?
«La prima assemblea sinodale ha confermato la bontà e aggiungerei anche la bellezza del lavoro svolto. Quindi non nego che queste sono settimane, mesi molto intensi, proprio perché si deve portare a maturazione quanto ascoltato e quanto è stato oggetto di discernimento nella seconda fase, la fase sapienziale. Stiamo andando verso questa fase profetica che porterà alcune decisioni con diversi passaggi, con anche la necessità di fare in modo che le diverse componenti recepiscano quanto ascoltato. Quindi l’assemblea sinodale che vedrà questa particolarità di delegazioni diocesane con i propri vescovi fino ad arrivare all’assemblea dei vescovi. Mesi intensi, ma veramente testimoniano la vivacità e la bellezza»
Una chiesa italiana che sta facendo un lavoro impegnativo… Si è già concluso il Sinodo della Chiesa Universale, che ha lasciato un campo molto aperto per quelle che saranno le decisioni che si prenderanno anche a livello locale, e le Chiese italiane e quella di Pescara-Penne – attraverso le varie parrocchie – stanno lavorando ad un sogno missionario da realizzare per migliorare la pastorale e adeguarla ai tempi moderni. Ma qual è l’orizzonte verso cui lavorare per realizzare qualcosa di concreto, senza disperdersi in chimere o in progetti troppo astratti?

«Hai detto molto bene, perché la vera questione che è in gioco è proprio questa. Cioè il non fare confusione tra strumenti e finalità. Nel momento in cui il fine è chiaro, di conseguenza anche gli strumenti, diventa un pochino più agile, agevole andare a ritrovarli. Riuscire a ribadire come Chiesa la necessità di tornare e ridirci il nostro fine, che è quello di creare connessioni tra un Dio che si è rivelato e che cammina nella vita e nella storia di tutti i giorni delle persone, vuol dire per la comunità cristiana trovare quegli strumenti che facilitano e devono facilitare questo incontro. Questo significa anche dirsi con grande chiarezza che, forse, alcuni strumenti che abbiamo non funzionano più. Quindi questi sono un po’ gli elementi».
Monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e presidente del Comitato del cammino sinodale delle Chiese italiane ha detto che “la Chiesa del domani dovrà essere più snella, più sociale e più pastorale”. Come coniugare la sintesi alla concretezza? Verso quale orizzonte stiamo andando?
«Il tentativo sarà quello di dare un volto alla Chiesa dei prossimi cinque anni, con alcune scelte che possano condurre esattamente in questa direzione che tu evocavi, già detta e abbondantemente confermata non soltanto da monsignor Castellucci, ma dal Collegio episcopale italiano. Io credo che anche qui, con grande lucidità, alcune cose si potranno fare subito, altre cose saranno oggetto di valutazione anche a livello di Chiesa locale. Perché, non dimentichiamocelo, al centro di questo cammino sinodale ci sono le singole Chiese locali. Questo percorso dovrà essere molto rispettoso anche di storie tradizioni, e scelte che magari sono già in atto. E anche, onestamente, alcune cose saranno poi consegnate – come richiesto dal Sinodo dei vescovi, alla Santa sede per opportune valutazioni. Quindi questa diventerà veramente l’occasione per capire ancora meglio come essere, che cosa essere, che cosa fare e soprattutto anche chi dovrà fare. Per cui confido che la seconda assemblea sinodale, possa aiutarci a maturare ancora di più questi orizzonti».
In attesa di queste decisioni finali lei da sacerdote operativo, ma anche da dirigente della Chiesa italiana, quali sono i cambiamenti che vede realizzabili subito – probabilmente a livello nazionale – e quali quelli che – da presbitero – auspica che possano arrivare nel tempo?
«Partirei da presbitero. Mi piacerebbe, non che non che ci sia, ma che sia veramente affermata e riconosciuta – con tutte le conseguenze – una passione per il Vangelo proprio come buona notizia per la vita degli uomini e delle donne. Questo però implica che i primi dediti al Vangelo siamo noi, i cosiddetti professionisti del settore, che siano preti, catechisti, operatori pastorali. Vuol dire riprendere in mano questo Vangelo e farlo parlare per l’oggi, perché parla all’oggi e alla vita degli uomini e delle donne. L’altra questione… Io credo, spero, che fondamentalmente si possa realizzare in particolare una condizione – che già è presente e diffusa – cioè una valorizzazione degli organismi di partecipazione, perché ogni Chiesa locale ha consigli pastorali, consigli per gli affari economici e strutture di partecipazione. Quindi assumendoli consapevolmente, già diventano luoghi veri, concreti, normati di una partecipazione corresponsabile».
Alcuni, tra vescovi e funzionari della Chiesa, sostengono che questo cammino si sia svolto fin troppo velocemente e che, forse, sarebbe occorso più tempo per armonizzare le varie anime, visto anche un clero abbastanza anziano che necessita di tempo per cambiare e per assimilare. È d’accordo oppure ritiene che, tutto sommato, questi tre-quattro anni sono stati un tempo giusto?
«Io credo che sia stato un periodo giusto. Forse, alcuni aspetti abbisognavano certamente di più tempo, soprattutto penso alla fase del discernimento. Però è anche vero che quello che i vescovi italiani hanno inteso era anche generare uno stile, un metodo di lavoro. Per cui, intanto, portiamo a compimento questo tragitto. La bontà di quello che è stato fatto potrà diventare, speriamo, un percorso codificato anche per i prossimi anni. Per cui, questo è un altro elemento in gioco. I vescovi dovranno valutare anche come rendere plausibile quello che si è vissuto per il futuro».
Lei ha parlato di un orizzonte, possiamo dire a 5-10 anni, per vedere dei cambiamenti sostanziali. Quindi come immagina la Chiesa italiana alla fine di questo periodo? Qual è il suo sogno?
«Chiaramente, come tutte le letture non soltanto ecclesiali ma anche sociologiche, ci fanno intravedere che siamo veramente davanti a dei cambiamenti, a delle trasformazioni importanti. Cito, per esempio, l’intelligenza artificiale che cambia, condiziona, modifica anche tante cose nel bene e nel male. Allora, alla luce di queste trasformazioni, io credo che la Chiesa – sempre di più – possa avere e debba avere la capacità di riscoprire il suo proprio che è quello di dare tempo alle persone, creando le condizioni perché le persone si sentano accolte, ascoltate, aiutate, accompagnate in quella che è la grande sfida del nostro essere umani, cioè prendere decisioni. In tutto questo c’è, credo, anche il futuro della comunità cristiana. A onor del vero, ci sono tante cose che lasciano già intravedere come questo possa essere autenticamente, ed efficacemente, un nuovo approdo pastorale. Penso alla vita della carità, per esempio, che non è più solo assistenzialismo, ma sempre di più sta diventando una vera e propria fonte di trasmissione anche di un’esperienza, di qualcuno che si coinvolge per… Penso anche alla bellezza della liturgia, che comunque viene evocata, riscoperta, richiamata e questo è interessante. Così come, paradossalmente, il fatto che uno dei libri più venduti in Italia parli di Bibbia, questo fa dire che c’è voglia anche di andare a quella che è una delle fonti per eccellenza del fatto cristiano. Quindi, insomma, si tratta di avere un po’ di coraggio, di mettere in fila tanti segni che si intravedono per immaginare un qualcosa».
Infine, qual è il ricordo più bello che si porta di questo cammino sinodale e da qui in avanti la Chiesa potrà, come credo sia auspicabile, vivere un sinodo permanente?
«Per quanto riguarda il sinodo permanente, sì, non vedo sinceramente alternative, primo perché il magistero di questi anni, di Papa Francesco, ha continuamente evocato una partecipazione ampia. Ma questo era nello spirito del volto tratteggiato dal Concilio Vaticano II, dell’esercizio della corresponsabilità, di ministeri, di carismi riconosciuti. Per cui questa è la sinodalità. Cioè, non è una riunione tecnica, è la Chiesa, è il volto della Chiesa che prova a camminare insieme. Invece, la cosa più bella che mi porto dietro è che, nonostante tutto, la Chiesa che è diffusa sul territorio dell’Italia è viva, bella e ricca di potenzialità. Quindi il mio auspicio è che questo non sia mortificato, ma al contrario valorizzato. Questa è veramente la cosa che, in questi quattro anni, mi porto via di un volto bellissimo e molto diffuso».
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