Quel popolare feticismo religioso
Traffico bloccato, parcheggi selvaggi, folle impazzite. Non si tratta della fine del mondo, ma basta avanzare, con tanta pazienza e tanto tempo a disposizione, ispirati dall’odore (dipende dai gusti) di porchetta, mista a zucchero filato e “nocelle”, per ritrovarsi sotto un luminoso “benvenuto”, nel cuore di una festa. Giostre, luminarie, bancherelle, camminamenti spalla a spalla, eventuali risse tra gruppi “brillati” da litri di birra e vino, tanta sporcizia, risate e bestemmie, fanno da leitmotiv alle celebrazioni dei santi patroni che in questi giorni popolano i rioni delle città e le piazze dei paesi.
Tra grida sguaiate e mandorle tostate, al suon di bassi e chitarre di gruppi dimenticati e volgari comici, a porte spalancate, attutiscono il rumore le mura delle chiese, illuminate a giorno, vuote di gente, cariche di preghiere pretenziose e richieste miracolose, addobbate di drappi porpora e ori impolverati, ai margini di un ballo nel quale sembrano non voler entrare.
Tabernacoli soffusi nascosti da statue lignee, in resina e gessate, spostate dalle navate laterali ai piedi dell’altare. Oboli a vista, collane e orecchini ad adornare l’immagine – e ripeto l’immagine – di uomini e donne – e ripeto uomini e donne – che hanno vissuto impavidi la fede, che hanno gridato l’ingiustizia e la corruzione, che hanno diviso ricchezze e moltiplicato carità, che hanno indicato colui che è Santo e si ritrovano, immobili, o trasportati a spalla da sconosciuti e litigiosi barellieri, ad accettare adorazioni e inchini, puerili bacetti di labbra rugose e lagne stonate di circuline infelici ed incontentabili.
«È tradizione» la risposta scandalizzata a chi osa porre domande di senso, a chi sa osservare oltre le sguaiate risate l’inutilità spirituale di tali giorni celebrativi. «È tradizione» l’unica parola imparata a memoria dai comitati organizzativi preoccupati ad accontentare la gente per una cinque euro donata a muso storto e a tracciare contorte e attorcigliate processioni perché il “Santo” (ovvero la statua) passi sotto il balcone di tutti. «È tradizione» la convinzione dei preti stanchi di tanta banalità, ma autoconvinti che le feste paesane aiutino la socialità e alimentino quella utile – anche in senso economico – devozione popolare, spesso sinonimo di ignoranza della fede, «che non va toccata – direbbe qualche monsignore prudente – per non scandalizzare l’animo pio dei fedeli». «È tradizione» la parola che tutti utilizzano e che nessuno comprende nel suo significato di “trasmissione di valori”. «È tradizione» la paura a rompere con un passato di disattenzione ai laici, di celebrazioni autocefale che hanno generato un tale feticismo religioso e l’esigenza dei trascurati fedeli a costruirsi “vitelli d’oro” di cui non conoscono né la provenienza, né l’agiografia, né le virtù da imitare. «È tradizione» il «si è fatto sempre così» che popola le piazze, svuota le chiese e le riempie di gente anziana ostile ai cambiamenti, che confonde fede e magia – e le usa indistintamente, come molti sacerdoti carismatici, del resto – e che, comunque, continua ad essere capricciosa e maldicente nonostante i pochi tentativi di chi della tradizione conosce l’etimologia e il valore.
«È ormai tradizione» l’editoriale di LaPorzione.it che rompe i “cesti” di tanti lettori, ma che continua a sperare di essere spunto di riflessione!
no, non ne possiamo farne a meno. appartengono alla nostra storia. alle nostre radici. possono essere ottime occasioni per conoscere il Cristo, il Santo, … fare Chiesa. fare ma con sobrietà.
?
E’ il fenomeno più evidente del peccato originale (mi si passi il termine) del cattolicesimo. Avere “educato” masse di credenti a porre l’occhio sul visibile, su sterili riti e tradizioni che fanno a pugni con lo spirito e la lettera del Vangelo. Venne il tempo che il serpente di rame issato in alto per comando divino dovette essere distrutto, il popolo ne aveva fatto un idolo. Per buona parte del cattolicesimo quel tempo non è ancora venuto.
Caro Giuseppe, il peccato originale c’è, senza dubbio (per cattolici e non, anche se siamo noi che ne abbiamo definito il dogma). Questo fenomeno, tuttavia, mi pare più direttamente imputabile al fatto che nel nostro contesto sociale quella cattolica è (piaccia o no) una “chiesa di popolo”, e che quindi le sue forme espressive sono per forza di cose meno elitarie che quelle di altri gruppi. La Chiesa cattolica si rinnova e si purifica di continuo, e proprio per questo appare sempre criticabile. Non dimentichiamo, infine, che le “devozioni popolari” non sono un semplice orpello da sopportare per avere le chiese piene: (continua)
(continua) cerchiamo di drenare l’acqua sporca, ma c’è un bambino vivo e vegeto che vi fa il bagnetto. C’è poco da fare gli schizzinosi…
E no, caro Giovanni, le cose di Dio si pesano col bilancino dell’orefice, e non con le pese del mercato frutta. Ci sono errori gravi e grossolani che distinguono le persone e le comunità, cristiane e non, e la pratica di certi riti tribali e forme di paganesimo, di parte del cattolicesimo (osteggiate tra l’altro dalla maggioranza dei sacerdoti), non può essere in alcun modo giustificata da chi ha in cuore l’amore per la verità e il bene del popolo di Dio. In altre chiese prevalgono altre consuetudini, altrettanto deprecabili. Distinguere il grano dalla paglia non vuol dire affatto essere schizzinosi. Il territorio è sacro.
Bravo: proprio quella distinzione intendevo – grano e paglia -, la quale risulta spesso tutt’altro che agevole. Proprio per evitare di usare le pese del mercato frutta dove servono i bilancini da oreficeria, la soluzione sta tutt’altro che in un banale bipolarismo tra l’iconoclastia e l’idolatria (è il Signore che comanda di “non strapparla, perché non venga via insieme ad essa anche il grano”). L’equilibrio è la cifra della verità, e talvolta l’equilibrio si prepara col compromesso: questo è tutt’altro che spregevole quando ha a cuore ciò che ha a cuore il Salvatore, ossia “che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità”. I “sacri furori” della verità sono il più delle volte delle luciferine idolatrie a statue invisibili, quali una verità astratta e in-utile. “Verbum caro factum est”. E ci vuole pazienza. È costato pazienza all’Onnipotente… facciamo le debite proporzioni…
Che ne direbbe l’arcivescovo se gli togliessimo la festa di San Tommaso a Ortona (tra l’altro molto discutibile in quanto alla autenticità delle reliquie, come del resto quelle di tanti altri Apostoli)?
La festa del Santo Patrono è un momento di aggregazione municipale intorno al numem loci. Poco importa poi se sia un santo vero o un santo inventato (ma poi chi sarebbero i santi veri?). E Dio, molto più dgli arcivescovi e dei suoi giornalisti sa quanto questo secolo abbia bisogno di istintivi ritorni al sacro.
Non so cosa penserebbe l’arcivescovo – di Pescara-Penne immagino – magari un giorno commenterà questa semplice riflessione! É certo che queste riga sono solo una analisi molto personale non riducibile ad un ‘togliamo le feste patronali’ o, viceversa, ‘che tutto resti sempre uguale’! Intanto la ringrazio per l’intervento e per la definizione ‘giornalista di Dio’, perché quel ‘suoi’ non poteva sicuramente riferirsi al plurale ‘arcivescovi’. Simpaticamente, Simone
Solo una domanda mi sorge: “chi ha inculcato queste tradizioni ai fedeli?” Anch’io sono stata “educata” a seguire tale feticismo religioso, cosa che mi ha sempre fatto sentire fuori le riga, a disagio, come membra della Chiesa. L’ articolo rispecchia il mio pensiero, tranne una cosa non condivido, non è solo la gente anziana che è ostile ai cambiamenti e non è solo questo a far si che le chiese siano sempre più vuote.
A me sembra che si stia facendo un sacco di confusione. Si sta parlando di FEDE o di stregoneria? Questa 2ª ipotesi mi sembra la + accreditata. Quindi si fa quello che + conviene a “chi fa”. Poveri noi che abbiamo bisogno di una guida solida, con le idee molto chiare, e che non ci faccia mai dubitare del vero e nitido DISEGNO divino.
http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-non-solo-folklore-75962307.html
continua il Post di Savio Girelli: la processione è la ritualizzazione del peregrinare degli uomini sulla terra con Dio che cammina in mezzo a loro tra invocazioni di supplica e acclamazioni di lode. In modo particolare, la processione che si accompagna alla celebrazione della solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo vuole annunciare simbolicamente la presenza di Cristo nella Chiesa, al mondo. La processione liturgica è una forma di preghiera che sgorga dal Mistero dell’altare e ad esso guarda senza soluzione di continuità.
Vi giro questo post: NON SOLO FOLKLORE
di Savio Girelli
Quando i media parlano di processioni rimandano quasi automaticamente a quelle folkloristiche e spettacolari processioni diffuse nei Paesi mediterranei in cui penitenti incappucciati e flagellanti si percuotono lungo il percorso in segno di mortificazione. Il santo patrono che viene portato in spalle dai devoti compressi da una folla eccitata ed esaltata è poi un’altra immagine ricorrente coronata da parole di ammirazione, come di commenti più ironici e pungenti. Non parlano mai invece delle nobili origini bibliche della prassi processionale, quando Israele, preceduto…
Abbiamo rivestito di senso autentico e vero ciò che era folle e irrazionale, ciò che da sempre è semplice espressione del nostro dialogo eterno fra l’io e il mistero al di là dell’io. Il feticcio è e rimane tale anche se lo copri con strati di seta e oro e rosari semplicemente perchè noi umani siamo sempre gli stessi da che siamo al mondo. Superare il fatto antropologico in questione penso sia ‘dis-umano’, penso sia invece divino. Questo mi porta a pensare di conseguenza che solo ‘ragionando come Dio’ possiamo andare al di là, e comprendere quel senso che senso non ha per molti, ma che è l’unico opposto al nostro nonsenso.
…dunque le aboliamo? Queste ‘sante’ feste dico, le aboliamo? E se le abolissero per davvero poi…cosa succederebbe? Tanto, par di capire che la memoria autentica del santo è già persa (salvo nei cuori di pochissimi), sostituita da ‘timor magici’ e salamelle arrosto. Cosa resterebbe del giorno del santo? Un giorno come un altro sarebbe…forse ci mancherebbero porchetta e nocelle per l’appunto. Oppure in qualche modo è un bisogno arcaico insopprimibile? Il bisogno di avere un feticcio con cui dialogare e al quale trasmettere il nostro stupore/timore per ciò che non riusciamo a spiegare o risolvere…? Potremmo farne a meno?…