La suora che voleva essere “don”
Ci siamo lasciati una settimana fa con una domanda: è possibile che una donna si senta chiamata al sacerdozio? E, se ciò accade, si tratta di una vocazione “oggettiva” e lecita, o di una vocazione “soggettiva” e sospetta? Come avevo anticipato, cercheremo oggi di conoscere il caso di una donna, già suora del Carmelo, che non teneva segreto il suo desiderio di essere sacerdote. Donna, suora, e per di più santa canonizzata e dottore della Chiesa: Teresa Martin, meglio nota come Santa Teresa di Lisieux o Santa Teresa di Gesù Bambino. Leggendo la sua autobiografia, ben nota con il titolo di Storia di un’anima, a un certo punto ci imbattiamo nel seguente passo (lo riporto per esteso; i puntini di sospensione non segnalano mie espunzioni, ma sono un tratto tipico dello stile dell’autrice):
«Essere tua sposa, Gesù, essere carmelitana, essere, grazie all’unione con te, madre di anime, dovrebbe bastarmi. Non è così! … Certo, questi tre privilegi sono la mia vocazione: Carmelitana, Sposa e Madre; ma io sento in me altre vocazioni: mi sento la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Dottore, di Martire; insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche … Sento nella mia anima il coraggio di un Crociato, di uno Zuavo Pontificio: vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa … Sento in me la vocazione di Sacerdote» (grassetto mio).
Teresa di Lisieux non si accontentava di essere sposa di Cristo e madre di anime. Sentiva «altre vocazioni»: voleva essere guerriero, martire, apostolo, dottore (questo desiderio si sarebbe avverato nell’ottobre del 1997) e sacerdote. Giertych obietterebbe che non ne ha alcun bisogno, perché il suo ruolo nella Chiesa «è già tanto bello così» (vd. l’articolo della scorsa settimana: link a “C’è vocazione e vocazione”). E in effetti lei stessa altrove afferma:
«L’apostolato della preghiera non è, per così dire, più sublime di quello della parola? La nostra missione come carmelitane è di formare operai evangelici che salveranno milioni di anime delle quali noi saremo le madri … Trovo che la nostra parte è assai bella! Cosa abbiamo da invidiare ai sacerdoti?».
Oppure la mette sul piano dell’umiltà, e afferma di voler rinunciare al suo sogno per imitare il Poverello d’Assisi:
«Ma, ahimé, pur desiderando di essere Sacerdote, ammiro e invidio l’umiltà di san Francesco d’Assisi e mi sento la vocazione di imitarlo rifiutando la sublime dignità del sacerdozio».
Eppure nel suo cuore Teresa provò sempre un po’ di invidia (santa invidia, certo!) verso i sacerdoti e i missionari che poteva accompagnare e sostenere solo con la preghiera. La vocazione sacerdotale in lei non è il vagheggiamento di una volta: spesso ricompare nei suoi scritti o nelle testimonianze di chi la conobbe il desiderio di ricoprire questo ruolo salvifico.
Ma cerchiamo di capire più esattamente quali aspetti del sacerdozio mancano alla vita di suor Teresa; e man mano che spieremo i suoi pensieri, cercheremo pure di chiederci se questi stessi aspetti possano mancare alla vita di una donna moderna che non ha accesso al sacerdozio.
Il primo aspetto che Teresa invidia ai sacerdoti è la cultura:
«Se fossi stata sacerdote avrei studiato a fondo l’ebraico e il greco per conoscere il pensiero divino, tale quale Dio si degna esprimere nel nostro linguaggio umano».
Lo studio approfondito della Scrittura, esaminata nella lingua originale per comprenderne il significato vero e pregnante (inevitabilmente attenuato nelle traduzioni in lingua moderna: su questo aspetto segnalo “Tradurre la Bibbia” e i successivi articoli sullo stesso argomento), era certamente riservato ai sacerdoti e precluso alle semplici consacrate ai tempi di Teresa. Ora questo ostacolo alla conoscenza non esiste più, perché tutti hanno la possibilità – volendolo e avendone i mezzi – di approfondire gli studi biblici ed esegetici; e non v’è dubbio che alcune donne oggi occupino posizioni eccellenti in questi ambiti.
Il secondo aspetto del sacerdozio che manca alla vita di Teresa è la predicazione, in modo particolare su un tema:
«Quanto avrei desiderato essere sacerdote per predicare sulla Santa Vergine! Mi sarebbe bastata una sola volta per dire tutto ciò che penso a questo proposito».
E, tanto per rendere l’idea, butta giù una bozza di predica ideale sulla Santa Vergine. La predica perfetta su Maria, secondo Teresa, dovrebbe contenere solo ciò che di Lei si conosce, senza indugiare su particolari inverisimili o supposizioni. Dovrebbe mirare ad essere utile, rendendo Maria un modello imitabile, non un ideale da ammirare da lontano. E dovrebbe presentare la Madre nella sua umiltà e nel suo amore infinito verso i figli. Inutile dire che dietro questo modello di predica si nasconde una velata critica nei confronti dei predicatori che non sanno far bene il proprio mestiere. E probabilmente l’impressione di poter fare meglio di loro … Anche su questo aspetto le donne moderne non dovrebbero aver nulla di che lamentarsi, visto che ormai, anche se non salgono sul pulpito a predicare durante la Messa, insegnano e catechizzano in molti altri modi e luoghi.
Il terzo aspetto che manca alla vita di Teresa riguarda la celebrazione:
«Com’ero fiera; quand’ero ebdomadaria all’Ufficio! Come dicevo le orazioni in mezzo al coro! Perché pensavo che il sacerdote diceva le stesse orazioni alla Messa, e che io avevo il diritto, come lui, di parlare ad alta voce dinanzi al Santissimo Sacramento, di dare le benedizioni, le assoluzioni, di dire il Vangelo, quand’ero prima cantora».
Teresa gioisce quando ha la possibilità di agire come il sacerdote durante l’Ufficio, dicendo le orazioni, stando vicino al Santissimo Sacramento, parlando ad alta voce dinanzi ad Esso, dando benedizioni e assoluzioni, e leggendo in Vangelo. L’Ufficio diventa per lei una piccola Messa, nella quale lei stessa può fungere da piccolo sacerdote.
Ma l’aspetto più importante riguarda più specificatamente l’eucaristia:
«Sento in me la vocazione di Sacerdote: con quanto amore, o Gesù, ti porterei nelle mie mani quando, alla mia voce, discendessi dal Cielo! … Con quanto amore ti darei alle anime!».
Teresa vorrebbe consacrare le specie. Vorrebbe pronunciare quelle parole che solo il sacerdote può pronunciare e alle quali Gesù discende dal cielo e si rende presente con il suo Corpo e il suo Sangue. Vorrebbe tenere nelle proprie mani l’ostia consacrata e consegnarla amorevolmente alle anime. Questo nessuna donna può farlo, neppure oggi. Se Teresa fosse vissuta ai nostri giorni probabilmente avrebbe potuto soddisfare il suo desiderio di studiare e di evangelizzare; avrebbe potuto guidare rosari, adorazioni eucaristiche e molti altri momenti di preghiera; forse avrebbe pure potuto aiutare nella gestione ed amministrazione di qualche parrocchia, dato che in molte chiese donne, consacrate o laiche, offrono il proprio servizio a sostegno di parroci e sacerdoti ormai sempre più anziani, stanchi e super-impegnati. Ma non avrebbe potuto celebrare la Messa.
A questo proposito, mi torna in mente una recente intervista in cui il cardinal Martini ha riconosciuto come indispensabile il lavoro compiuto dalle suore nelle parrocchie, ma ha altresì affermato che «ciò non vuol dire che esse possano sostituire in tutto i presbiteri. Nell’agire della Chiesa latina non v’è discriminazione, perché tutti i cristiani sono uguali e hanno gli stessi diritti, ma non esiste per nessuno il diritto a essere ordinato prete». Martini rispondeva così a quanti rivendicavano alle donne il diritto di essere trattate alla pari degli uomini nella Chiesa, avendo riconosciuta la possibilità di accedere al sacerdozio, che, a differenza di altri ambiti aperti al servizio di persone di ambo i sessi, è considerato alla stregua di un privilegio maschile. Giustamente il prelato faceva notare che tutti i cristiani possiedono gli stessi diritti, ma nessuno – né uomo né donna, quindi – ha il diritto di essere ordinato sacerdote. Pertanto, la questione non va posta sul piano dei diritti della persona. Martini, inoltre, distingueva tra il principio – negativo e contestabile – della discriminazione e quello – positivo e innegabile – della diversità, affermando che le donne (si riferiva in particolare alle suore, perché sono l’unico termine di paragone possibile con i sacerdoti) non possono sostituire in tutto i presbiteri. In particolare, non possono sostituirli nella funzione che più di ogni altra pertiene al sacerdozio, cioè la celebrazione della Messa. Per quale motivo? Cercheremo di comprenderlo meglio la prossima settimana.
Nella lettera apostolica del 22 maggio 1994 Giovanni Paolo II dichiarava che “la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. La Chiesa Cattolica sarà sempre contraria al sacerdozio femminile o sarà possibile riesaminare un giorno la questione? Ci sono notizie di donne sacerdote nella Chiesa antica? Forse non c’entra niente, ma mi piace molto questo versetto del Vangelo:
“Alla risurrezione infatti non si prende nè moglie nè marito, ma si è come angeli nel cielo” (Matteo,22,30)
Sulla questione delle donne-sacerdote nella Chiesa antica, mi permetto di rinviare al mio precedente articolo: http://www.laporzione.it/2014/03/02/tdp-139/
Il passo di Matteo spinge in effetti a ragionare nei termini della risurrezione, nella quale le norme sociali e culturali (compresa la distinzione tra i sessi) non hanno più ragion d’essere. Mi pare pertanto assai adeguato al nostro contesto. Grazie del contributo!
La possibilità, oggi, per una donna di appagare, se vuole, la maggior parte di quelli che furono i desideri di Santa Teresa, dimostrerebbe superata la questione del sacerdozio femminile. Ma rimane la questione della celebrazione della Messa, che mi spinge ad attendere con vivo interesse il prossimo articolo di Sabrina.