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“Puntiamo sulla nostra bellezza se vogliamo comunicare la fede”

Il bilancio pastorale del 2019 tracciato dall’arcivescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti

Monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, nel suo studio

Nell’ultimo giorno del 2019 è tempo di bilanci anche per l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, che su La Porzione.it ha scelto di rivivere un tempo segnato da un grande rilancio dell’attività pastorale, ma anche dall’istituzione di nuovi servizi a beneficio dei fedeli della comunità diocesana e dei pescaresi tutti.

Monsignor Valentinetti, nel settembre scorso il convegno pastorale diocesano dal tema “Trasfigurare, voce del verbo” ha concluso il ciclo di convegni annuali dedicati all’approfondimento dei cinque verbi (uscire, annunciare, abitare, educare e appunto trasfigurare) lanciati dal quinto Convegno ecclesiale nazionale, che si è svolto nel 2015 a Firenze, come approfondimento dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco. Qual è il bilancio di questo percorso e quali sono le prospettive per il proseguo del cammino pastorale della nostra diocesi?

«L’ultimo verbo “trasfigurare” ha segnato in modo particolare questo percorso, perché gli altri quattro sono stati significativi, ma se non ci addentriamo specialmente oggi nel ridare anima, una verità profonda che poi si esprime nella liturgia, e se non ridiamo a questa nostra realtà di vita umana ed ecclesiale l’esperienza della bellezza, io credo che non riusciremo a trovare le chiavi per aprire lo scrigno che è la comunicazione della fede. Sono profondamente convinto – lo diceva già un noto teologo – che la bellezza salverà il mondo, ma sono profondamente convinto sempre di più che dobbiamo puntare sull’armonia delle nostre persone, sulla bellezza delle nostre persone e sulla bellezza di quello che facciamo, se vogliamo realmente procedere con un cammino di comunicazione della fede. Questo perché, fondamentalmente, Gesù è venuto a comunicarci l’infinita bontà del Padre. Ora sappiamo molto bene che la parola “buono” in ebraico è “tov”, ma la traduzione in lingua italiana di questa parola, contemporaneamente, è “buono” e “bello”. Il buono e il bello non possono assolutamente essere distinti. Allora io credo che su questa strada dobbiamo recuperare molto terreno, per ridare bellezza a questa società che la sta perdendo attraverso le manifestazioni peggiori a cui stiamo assistendo, di odio, rancore, difficoltà nel rapportarsi e incapacità di governare la realtà politica e sociale, noi stiamo smarrendo il senso della bellezza che deve assolutamente essere ricomunicata a tutti. D’altra parte i nuovi orientamenti quinquennali della Conferenza episcopale italiana, di prossima pubblicazione, da quanto si apprende saranno incentrati tutti sull’evangelizzazione, ma credo che essa non avrà possibilità di attecchire se non verrà condotta con la dovuta capacità di comunicazione e quindi di un accorgimento di armonia e bellezza, perché altrimenti faremmo della tecnica, del formalismo, mentre noi dobbiamo comunicare un moto dell’anima, della spiritualità e dell’umanità».

Una delle esortazioni più frequenti che lei ha rivolto ai fedeli, ultimamente, è stata quella di vivere superando la logica della paura propinata da un certo modo di fare politica. Che riscontri ha trovato tra la gente, considerando che a Pescara il mercatino etnico (uno dei simboli su cui l’arcivescovo stesso aveva puntato per vincere la paura con il confronto e l’integrazione) ha chiuso i battenti a pochi mesi dalla sua apertura?

«Non credo che siamo ancora arrivati a vincere la paura, che è una tentazione molto forte che proviene dal maligno il quale è sempre in agguato per cercare di creare paura e divisione. Credo che su questa strada dovremo lavorare molto e, a tal proposito, vorrei riprendere un concetto che ho molto apprezzato nell’ambito dell’ultima conferenza di don Luigi Ciotti. In quell’occasione insistevo nel parlare d’integrazione tra varie situazioni e varie realtà, immigrati, non immigrati, persone in difficoltà le quali vanno inserite nella vita sociale. E lui mi ha corretto, dicendo che non si trattava tanto d’integrazione quanto d’interazione, che potrebbe sembrare un concetto simile, ma non lo è perché solo se riuscendo ad apprezzare i valori di chi è diverso da noi e li mettiamo insieme interagendo, allora realmente cominceremo a costruire qualcosa di buono. Ma per arrivare a questo punto credo che dovremo compiere un bel percorso di superamento di tante barriere, che naturalmente sono state costruite perché siamo diversi. La colpa della non attivazione del mercatino etnico, non può essere data solamente a chi in questo momento l’ha chiuso. Essa va anche ricercata nella non volontà di molti di volerci andare, perché altrimenti sarebbe stato usato, ma così non è stato stando a significare che i valori non ancora si mettono a confronto o, perlomeno, sono stati messi a confronto molto superficialmente. Questo deriva dalla non conoscenza e dal non sforzo di una conoscenza reciproca, che ci avrebbe dato questa possibilità».

Eccellenza, in occasione dell’ultima Marcia per la pace che si è svolta nel gennaio scorso a Pescara, lei ha sollecitato i giovani ad impegnarsi nella buona politica affermando “Beato il politico che non mette paura”. E ultimamente, da questo punto di vista, i giovani un segnale lo hanno dato fondando questo movimento di protesta contro l’odio e la paura, apartitico, denominato Movimento delle sardine che ha fatto tappa anche a Pescara il 7 dicembre scorso. Può essere questa la strada giusta?

«Quando parlano i giovani bisogna sempre ascoltarli, non bisogna mai sottovalutare le loro ansie e i loro desideri. Sicuramente questo movimento dice che i giovani sono stanchi di un modo di fare di noi adulti e vogliono cercare qualcosa di nuovo. Del resto questa manifestazione dal basso, che ogni tanto spunta fuori, mi ricorda quando ci fu la famosa guerra contro Saddam Hussein, in opposizione alla quale si mobilitarono le piazze di tutto il mondo. Si parlò di manifestazioni con oltre 100 milioni di persone, che si attivarono contro quella sventurata azione militare. Così come l’aggregazione della bravissima ragazza svedese Greta Thunberg, la quale porta avanti delle istanze da un punto di vista della conservazione del creato. Sono manifestazioni che vanno considerate, perché c’è un desiderio che va comunque capito, interpretato e accompagnato, perché altrimenti corre il rischio di subire una strumentalizzazione da parte di chiunque o, peggio, di ricevere una condanna senza appello. Allora credo che, su questa strada, bisogna stare vicino a queste persone dialogandoci profondamente, senza la paura di spingersi a volere un confronto, ma cercando soprattutto di far capire che la progettualità della vita non può essere fatta di no, ma che dev’essere fatta anche di sì. Timidamente qualche “sì” questi ragazzi lo stanno tirando fuori, ma credo che bisogna fare ancora di più e ancora meglio. Certo, è un segnale forte che comunque va ascoltato».

Sulla scorta dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium e dell’enciclica Laudato si’, nell’ultimo anno, gli uffici diocesani Catechistico e di Pastorale sociale hanno elaborato due distinti percorsi formativi, rispettivamente, per l’inclusione delle persone con disabilità nelle nostre comunità parrocchiali e per la salvaguardia del creato. Due temi, però, sui quali c’è ancora molto da fare…

«Sicuramente sì, ma questo sta a dire che la nostra comunità diocesana, perlomeno nella volontà del vescovo e degli uffici diocesani e speriamo anche nella volontà delle comunità parrocchiali e del popolo santo di Dio, sta cominciando a fare una scelta di campo. Il Signore ci ha chiesto di predicare agli ultimi la lieta novella di non escludere niente e nessuno. E, attraverso il magistero di Papa Francesco sulla custodia del creato, ci ha chiesto di custodire ciò che ci è stato regalato: il grande paradiso terrestre che dobbiamo riconsegnare al Signore alla fine della nostra vita. Su questo cammino sicuramente dobbiamo fare dei grandi passi in avanti, anche perché sembrano sempre temi un po’ assenti dalla vita di fede, mentre invece dovrebbero continuamente interpellarci e dovrebbero metterci in azione, proprio per quel cammino di rispetto reciproco e d’interazione a cui facevo riferimento».

Lo scorso marzo è avvenuta l’inaugurazione del primo anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico diocesano, diretto da don Maurizio Buzzelli e da lei supervisionato, il quale ha già all’attivo numerose cause di nullità matrimoniale velocizzando non poco questi processi. Qual è il primo bilancio di questa nuova istituzione?

«L’intuizione di rispondere al motu proprio di Papa Francesco, che ci chiedeva di istituire i tribunali diocesani, credo sia stata felicissima grazie all’ispirazione dello Spirito Santo e alla mediazione del Papa innanzitutto perché si è riconosciuto finalmente nella figura del vescovo il giudice unico responsabile delle cause matrimoniali. Queste ultime non vengono più affidate esclusivamente a un giudice terzo, chiamato a giudicare in merito alle carte, ma vengono affidate alla responsabilità pastorale del vescovo perché un matrimonio ferito, che può essere riconosciuto nella sua nullità, deve fare riferimento anche ad un’azione pastorale. La vicinanza del tribunale alla realtà del popolo santo di Dio ha favorito tutto questo, in modo tale che la pastorale della famiglia – soprattutto la pastorale di famiglie in difficoltà e in ricerca di una verità – sicuramente ha dato senso ad un’azione che non voleva e non vuole trascurare nessuno. In particolare non vuole trascurare le famiglie in difficoltà, perché questo creerebbe davvero grossi problemi. Un altro aspetto è quello della velocizzazione delle cause. Noi, a partire dal giorno in cui abbiamo aperto il tribunale (1 settembre 2018), ad oggi abbiamo incardinato allo studio 60 cause di cui parecchie con rito breve, così da risolverle in tre mesi, e di tutte queste ne abbiamo risolte 28. In questo modo 28 famiglie, nel giro di un anno o poco più, hanno trovato la serenità del vedere dichiarato nullo il proprio matrimonio. Questo credo che sia un risultato non indifferente dal punto di vista pastorale».

Anche sul fronte vocazionale, ultimamente, è stato creato un “seminario diocesano”, complementare a quello regionale, per accompagnare al meglio la formazione dei futuri seminaristi. Come procede quest’esperienza?

«Più che seminario lo chiamerei casa di formazione, perché raccoglie soprattutto persone che hanno già compiuto un itinerario di carattere teologico o persone di una certa età, che scoprono la vocazione sacerdotale, i quali avrebbero chiaramente delle difficoltà ad inserirsi in un cammino seminaristico come quello che deve continuare ad essere il Seminario regionale di Chieti. Infatti questa casa di formazione, diretta da don Mauro Pallini, non è assolutamente in contraddizione con il Seminario regionale volendo però tentare una strada nuova. Vuole cioè cercare di capire se il presbitero, che deve essere collocato in servizio pastorale dall’anno 2020 in avanti, può ancora continuare ad essere educato con una formula educativa ancora valida, ma che porta i segni di un cammino precedente piuttosto lungo e complesso. La ricerca va in questa direzione, sperando di poter trovare le giuste risposte e di poter dare ai suoi quattro partecipanti, che hanno vissuto questo itinerario nel 2019 e lo vivranno nel 2020, un buon cammino formativo. Queste persone, fondamentalmente, seguono tre piste di studio. Chi è già arrivato al baccalaureato in Teologia sta facendo delle specializzazioni, particolarmente per conseguire una licenza in Teologia che è sicuramente molto utile sia a titolo personale che nella vita della comunità diocesana. Chi invece non è ancora giunto alla conclusione degli studi teologici, viene accompagnato ad entrare più gradualmente negli studi teologici, perché possa rendersi conto al meglio del contesto. Successivamente, quando sarà arrivato il momento, se sarà il caso verrà condotto al Seminario regionale altrimenti, continuerà la sua vita in questa piccola comunità di formazione. La seconda direttrice è l’esperienza pastorale ovvero, trattandosi di soggetti adulti, immetterli abbastanza velocemente nell’esperienza pastorale di una parrocchia, in modo che si rendano conto se quella può essere o non può essere la loro vita. Mentre la terza direttrice è sicuramente quella della vita comunitaria, della vita di famiglia. Abbiamo avuto anche la grazia di avere un luogo ben fatto e ben costruito, nel Centro Emmaus, per questa casa di formazione e quindi ci sono tutti i presupposti perché questo cammino educativo possa procedere bene».

Un’altra importante innovazione è stata l’istituzione della Biblioteca diocesana Carlo Maria Martini, inaugurata il 18 ottobre 2017 nei locali della Curia metropolitana capace di custodire fino a 25 mila volumi, che nell’ultimo anno è stata sempre più non solo un ambiente di studio per gli studenti dell’Istituto superiore di Scienze religiose Giuseppe Toniolo, ma anche sede di eventi culturali e conferenze…

«L’idea di questa biblioteca nasce dall’idea di averne una per l’Istituto superiore di Scienze religiose Giuseppe Toniolo, perché la Pontificia Università Lateranense – università affiliante – ce ne ha chiesto vivacemente la realizzazione, ma nasce anche dal desiderio di raggruppare i nostri fondi librari che sono il fondo moderno e il prezioso fondo antico – che la nostra diocesi possiede grazie all’antichità delle diocesi di Penne, dove si è fatta strada la realtà della diocesi di Pescara-Penne. Anche per quest’ultima ragione, la biblioteca diocesana non vuole solo essere il luogo dell’approfondimento accademico, ma anche e soprattutto un polo culturale al servizio di tutta la cittadinanza pescarese e non solo».

Un’altra esortazione su cui lei ha insistito, nel corso dell’ultimo anno, è stata quella di porsi nella condizione d’intraprendere un cammino volto alla santità feriale, seguendo l’esempio ancora attualissimo lasciato da San Nunzio Sulprizio di cui quest’anno è ricorso il primo anniversario di canonizzazione. Un tempo, tra l’altro, contraddistinto anche dal rilancio della frequentazione del Santuario di Pescosansonesco: quali sono le prospettive per questo cammino?

«Tracciare delle prospettive sul cammino di santità è sempre molto complicato, perché la santità è un fatto personale ed è un cammino di fede che viene chiesto a tutti, ma io sono molto contento di questa richiesta che ci è stata fatta da Papa Francesco attraverso l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate. La santità della porta accanto, di questa presenza nella vita e nella storia che possa poi creare quelle osmosi di santità che sono bellissime. In questi giorni la Provvidenza mi sta mettendo tra le mani alcune carte da leggere del mio compianto vescovo di Lanciano-Ortona monsignor Enzio D’Antonio e, a causa del fatto che sono l’esecutore testamentario, ho riletto la sua regola di vita, della quale mi piacerebbe leggere un punto per dire quale potrebbe essere il riferimento per un cammino di santità per la vita dei nostri contemporanei: “Non rigetto la mia singolare e originale realtà umana, né la storia della mia esistenza. Ringrazio Dio, i genitori e gli educatori per quel che sono e per come sono. Cercherò nel medesimo tempo di essere impegnato in permanente revisione di vita e conversione interiore. Ispirerò il mio ministero episcopale alla simpatia per l’uomo e per chi sa rimanere sempre uomo”. Credo che su questo fronte dobbiamo lavorare molto di più, perché abbiamo bisogno di santi nel nostro tempo. Abbiamo l’esempio di San Nunzio (presso il quale domenica 3 maggio 2020 rinnoveremo il pellegrinaggio diocesano dei giovani e delle famiglie, partendo da Torre de’ Passeri), ma anche la presenza di questo giovanetto di Bisenti Pasqualino Canzi le cui gesta, se approvate dalla Commissione dei cardinali, lo vedranno dichiarato venerabile e, se il Signore ci farà la grazia di avere un miracolo per la Sua intercessione, lo vedremo dichiarato anche beato».

Il 2019 ha rappresentato anche il decimo anniversario del sisma che ha devastato L’Aquila il 6 aprile 2009. Lo abbiamo definito “Il terremoto dell’anima”, che ha colpito anche ampie zone della comunità diocesana pescarese colpita poi anche dai terremoti di Amatrice e di Norcia. Ultimamente, eccellenza, lei ha riaperto le chiese di Catignano e Castiglione Messer Raimondo, ma a che punto è che la rinascita di queste comunità parrocchiali ferite dal sisma?

«Questa ferita si sta rimarginando molto lentamente, oserei dire troppo lentamente. Ma purtroppo, lo sappiamo bene che questi sono i tempi della nostra burocrazia nazionale e non so se riusciremo mai a velocizzarla con le nostre forze, a meno che il Signore non ci faccia il grande miracolo di cambiare i metodi di lavoro di tante persone, che in questo momento mettono in difficoltà le comunità che non hanno ancora le loro chiese».

Infine, c’è un sogno che vorrebbe realizzare nel 2020?

«Non ho grandi sogni, perché non sono  un sognatore essendo molto legato alla realtà dei fatti. Mi piacerebbe vedere delle realtà parrocchiali molto più responsabili e autonome nelle scelte, soprattutto dando spazio a una riflessione laicale sempre più coerente e sempre più veritiera. E cioè far capire che la parrocchia non è di proprietà del sacerdote, così come la diocesi non è di proprietà del vescovo, ma che siamo tutti battezzati insieme camminando nel tempo e nella storia, per edificare la santa Chiesa di Dio. In questo, soprattutto una grande attenzione all’evangelizzazione perché la trasmissione della festa resta, a mio giudizio, un elemento importante a cui non possiamo mancare nell’appuntamento. Dev’essere il nostro primo cammino e il nostro primo obiettivo».

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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